Alle origini della Pasqua

Per i cristiani è il giorno più importante dell’anno, la festività attorno alla quale ruota la loro fede celebrando la resurrezione di Gesù il quale, sconfiggendo la morte, ha liberato l’uomo dalla sua schiavitù sia a livello corporale che spirituale. Ma pensare alla Pasqua come a un qualcosa legato unicamente a questo credo è sbagliato. Festeggiare all’inizio della primavera il ritorno alla vita non è affatto una trovata cristiana, è un rituale comune a pressoché tutti i popoli – ancorché secondo modalità diverse ma con curiosi tratti in comune – a testimonianza di come, nel corso della storia, i miti siano trasmigrati da una civiltà all’altra modificandosi, adattandosi, ma sempre conservando il loro innato senso del divino, l’intrinseca necessità di riferirsi a un’entità superiore. In ogni cultura del pianeta si è festeggiato – e si festeggia – infatti il ritorno, dopo la morte invernale, della vita e della fecondità. Un rituale che nella maggior parte dei casi si compie ricordando una vittima che, dopo essere stata sacrificata in modo sanguinario, risorge.

È il caso del dio frigio Attis, onorato a Roma con grande sfarzo, la cui celebrazione conteneva già lo schema della Pasqua cristiana: prima una dura settimana di digiuni, poi un vero funerale con corteo, pianti e flagellanti; infine, dopo tre giorni, la resurrezione, con Attis rigenerato e celebrato quale sole nascente.
Al culto di Attis, sempre nella Roma antica, era legato il sanguinolento rito della «taurobolium» in cui il sacerdote o il fedele, accucciato in una fossa, veniva inondato dal sangue di un toro immolato sopra di lui che lo purificava e rigenerava.

La lista dei «divini sacrificati» è tuttavia molto più lunga: Osiride, venerato in Egitto; il re pastore Dumuzi – o Tammuz – celebrato da Sumeri e Babilonesi (e anche tra gli ebrei di Gerusalemme tanto da scandalizzare il severo profeta Ezechiele) che poi si trasforma nel culto fenicio siriano di Adonai diventando in seguito, tra i greci, Adone, amante di Afrodite, ucciso da un cinghiale durante la caccia e costretto da Ades a passare metà dell’anno nel regno dei morti e metà in quello dei vivi. Il suo ritorno era per gli antichi ciò che faceva fiorire la primavera e i «giardini d’Adone», composti di piante a rapida fioritura. Quella dei «Giardini» è un’usanza fatta propria dagli ebrei e in seguito mutuata ai cristiani tanto che ancora oggi, in certe zone d’Italia, le composizioni floreali create per il giovedì santo (i «sepolcri») si rifanno proprio a ciò, ovviamente trasformando il giardino di Adone in quello di Giuseppe d’Arimatea, sede del «sepolcro nuovo» di Gesù. Tra gli dei del pantheon greco-romano sacrificati a inizio primavera prima di risorgere, quello che faceva la fine peggiore era tuttavia Dioniso che, dilaniato e mangiato, tornava alla vita chiamato «kirios», il nato due volte, un nome che, come pure la simbologia del vino e della vite, è stato poi riutilizzato dai primi cristiani.


Anche il dono dell’uovo pasquale non ha nulla di originale. Già per gli Egizi il dio Path creatore del mondo fa partire il tutto da un uovo. Nell’antico Oriente la dea Ishtar (la dea dell’amore, della fertilità e dell’erotismo, poi divenuta Iside tra gli egizi e Eostre nella tradizione nordeuropea – dove ancora oggi la Pasqua è chiamata Easter), nasce da un uovo gigante trovato dai pesci nel fiume. Un uovo è deposto da Eurinome, madre del mondo. Dall’uovo nascono Eros, Castore e Polluce. E anche nel Manusmrti, il testo alla base della mitologia indiana, si legge che «Il dio rimase nell’uovo per un anno intero, poi lui stesso da solo, con il suo pensiero lo divise in due parti e con esse formò il cielo e la terra». Insomma, l’uovo ha sempre suscitato interesse in tutte le civiltà: i primi a regalarli a primavera (si trattava inizialmente di uova sode tenute di scorta per l’inverno che all’arrivo dei primi caldi dovevano essere consumate) furono i Persiani, poi imitati da Fenici ed Etruschi. I contadini dell’antica Roma sotterravano, invece, uova dipinte in rosso per favorire i raccolti.

Uno e trino per natura – guscio, tuorlo, albume – l’uovo non ha poi avuto problemi nell’entrare nella tradizione cristiana venendo utilizzato nell’arte medievale, come simbolo di resurrezione e vita eterna, e continuando a essere oggetto di dono beneaugurante in occasione della Pasqua. Per la sua trasformazione nell’oggetto pasquale che conosciamo oggi bisognerà però attendere parecchi secoli. C’è chi attribuisce il tutto a Francesco I di Francia che nel XVI secolo ricevette un uovo-sorpresa: un rituale subito adottato dai nobili che si è via via consolidato e ampliato fino a raggiungere a fine Ottocento lo sfarzo rappresentato dalle creazioni dell’orafo Peter Carl Fabergé per lo zar di Russia. A dare il via alla tradizione dell’uovo di cioccolato si dice sia stato invece un altro celebre sovrano transalpino, Luigi XIV, il re Sole che per primo, a inizio Settecento, fece realizzare un uovo di crema di cacao al suo «chocolatier» di corte rendendo, di fatto, da allora la Pasqua dolcissima.