Ambiente

«Così abbiamo salvato il tonno rosso dal sovrasfruttamento»

Per trent'anni sull'orlo del collasso, la popolazione di questi pesci è tornata a crescere – Catherine Volger di WWF Svizzera ci racconta un esempio virtuoso di conservazione, «ma c'è tanto da fare per le altre specie»
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Federica Serrao
08.03.2025 17:45

Poco meno di trent'anni fa era sull'orlo del collasso. Ma oggi, il tonno rosso, dopo numerosi sforzi, non è più considerato sovrasfruttato. Un successo importante che, come sottolinea il WWF, dimostra l'effettiva possibilità di ristabilizzare gli stock, grazie a un intervento deciso e alla collaborazione di ambientalisti marini, governi e produttori. 

Noto anche come tonno dell'Atlantico settentrionale o tonno pinna blu, questo impressionante predatore al vertice della catena alimentare – lungo fino a quattro metri e con un peso di oltre 600 chili – aveva raggiunto il punto più basso nel 1996, anno in cui gli stock erano scesi a un drammatico 15% rispetto al 1950. Oggi, però, la popolazione è tornata a crescere, attestandosi al 55% circa sul livello di riferimento. Un traguardo importante, importantissimo. Il finale già scritto, quello del tonno rosso, nel giro di qualche anno si è trasformato in un lieto fine. Una storia da cui c'è, soprattutto, molto da imparare. Ma per capirlo, è necessario fare un passo indietro. Un vero e proprio tuffo nel passato. 

Il punto di rottura

Come ci spiega Catherine Volger di WWF Svizzera, per migliaia di anni, le comunità costiere hanno catturato il tonno rosso dell'Atlantico durante la sua migrazione verso il Mar Mediterraneo, che l'animale effettua per deporre le uova. Una situazione che, tuttavia, è presto degenerata. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, la pesca di questa specie è diventata un'impresa industriale e la pressione ha iniziato a crescere. Fino al vero punto di rottura negli anni '90, quando la domanda globale di sushi è aumentata a dismisura, minacciando il tonno rosso. «È in quel momento che la pesca di questo pesce nell'Atlantico orientale e nel Mediterraneo si è intensificata in modo drammatico, oltrepassando ogni limite». 

Una situazione a cui si è cercato, fin dal primo momento di reagire, ma non nella maniera più efficace. «Alla fine degli anni '90 vennero introdotti dei limiti di cattura, ma erano ancora troppo alti per arginare il declino, e un monitoraggio e un'applicazione poco rigorosi non li rendevano abbastanza utili», osserva l'esperta. «Anche quando le quote iniziarono a essere gradualmente ridotte, la pressione sul tonno rimase alta a causa della crescente quantità di pesca illegale». Al punto tale che, nel 2006, gli esperti prevedevano il collasso dello stock di tonno rosso entro il 2012. Uno scenario che non solo non si è verificato, ma che è stato ampiamente evitato, solo grazie a un «cambiamento radicale». 

Un esempio di campagna del WWF. 
Un esempio di campagna del WWF. 

Trent'anni di sforzi

Certo, ottenere questi risultati è stato tutt'altro che semplice. Per riuscire a salvare il tonno rosso, è stato necessario adottare «severe misure di regolamentazione e monitoraggio». Un vero e proprio iter di cui il WWF è stato la principale forza trainante. In primo luogo, attirando l'attenzione dell'opinione pubblica sulla catastrofe incombente, con rapporti e studi efficaci dal punto di vista mediatico. E, a seguire, evidenziando le conseguenze del commercio illegale. Nello specifico, come sottolinea Catherine Volger, il WWF ha portato avanti alcune campagne, volte «a ottenere un'azione decisiva da parte dei responsabili politici», come la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT) e la Commissione europea. Tra le iniziative più importanti, ci fu, nel 2010, il «Tuna Market Manifesto». Quell'anno, 35 attori del mercato si impegnarono a non acquistare o vendere più tonno dell'Atlantico finché non sarebbe stato gestito in maniera sostenibile. Una posizione che la maggior parte delle aziende decise di adottare, e che contribuì enormemente all'inversione di rotta. 

Il recupero a lungo termine di questa specie può essere garantito solo attraverso misure coerenti basate sulla scienza, metodi di produzione responsabili e il continuo coinvolgimento di tutte le parti interessate
Catherine Volger

Le iniziative intraprese per salvare il tonno rosso da un tragico destino sono state numerose. Ma dopo due decenni di tutela coerente, ecco i risultati sorprendenti. Oggi, come detto, il tonno rosso non risulta più sovrasfruttato. Le quote ittiche, infatti, ora sono regolate sulla base di valutazioni scientifiche. Ma le sfide non sono di certo terminate. Per non rendere vani gli sforzi fatti fino ad ora, dovranno infatti essere fatti ulteriori passi. «Il recupero a lungo termine di questa specie può essere garantito solo attraverso misure coerenti basate sulla scienza, metodi di produzione responsabili e il continuo coinvolgimento di tutte le parti interessate», spiega l'esperta. «Per essere il più resistente possibile alle minacce future, la biomassa di adulti riproduttivi dovrebbe essere mantenuta il più possibile alta e la pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata, dovrebbe essere ulteriormente prevenuta».

La buona notizia è che, attualmente, la popolazione di tonni rossi mostra ancora una tendenza all'aumento. «Le regole di gestione sono state stabilite per mantenere questa tendenza alla crescita. Per questo motivo, almeno nei prossimi anni, se le regole di gestione verranno applicate come previsto, è possibile una crescita continua». 

Ma nel caso in cui la popolazione dovesse diminuire, sono previste alcune regole di gestione, impostate per adattare automaticamente i limiti di cattura allo stato dello stock. Una misura «che solleva le decisioni di gestione da pressioni politiche a breve termine e rappresenta un potente strumento di gestione sostenibile». In altre parole, tutto dipende dall'attuazione del piano di gestione, che richiede il coinvolgimento e l'impegno costante di tutte le parti interessate. Parallelamente, come sottolinea Catherine Volger, il WWF monitorerà attentamente l'andamento degli stock e le prestazioni delle attività di pesca.

Tra cambiamenti climatici e pesca illegale

Ma non è tutto. Già, perché oltre agli sforzi per salvaguardare i tonni rossi, ci sono anche altre minacce da non sottovalutare. La prima fra tutte è quella del cambiamento climatico. L'aumento delle temperature del mare, commenta la nostra interlocutrice, rende infatti incerto il futuro del tonno rosso, che è già stato visto migrare verso zone di alimentazione insolite. «Temiamo anche l'impatto che l'aumento delle temperature avrà sulle zone di riproduzione e sul successo dell'allevamento», osserva Volger. 

A seguire, preoccupano anche gli sviluppi della pesca illegale. «La pesca è gestita in modo rigoroso, anche per quanto riguarda il numero di imbarcazioni autorizzate a pescare il tonno rosso dell'Atlantico e i limiti di cattura. Con la continua crescita dello stock, la pesca illegale potrebbe aumentare, con l'incremento delle opportunità di cattura. La sorveglianza e l'applicazione continua delle norme saranno quindi essenziali per evitare che ciò accada». 

In ultimo, c'è anche un altro problema importante, legato all'allevamento del tonno rosso dell'Atlantico. «Non tanto per il pesce in sé, quanto più per il suo impatto sull'ecosistema nel suo complesso. L'allevamento del tonno o ranching è in realtà l'ingrasso di tonni catturati in natura a un costo ecologico molto elevato. I tonni catturati con reti a circuizione o trappole vengono trasferiti in recinti di rete aperti dove vengono nutriti fino a raggiungere un peso maggiore e un valore commerciale più elevato. Questo comporta un'immensa pressione sugli stock di sardine e acciughe, già sovrasfruttati, poiché per produrre un solo chilo di tonno sono necessari 15 chili di pesce selvatico. Questi piccoli pesci svolgono quindi un ruolo fondamentale alla base dell'ecosistema» 

Anche i consumatori e gli operatori di mercato, però, possono giocare un ruolo importante nel preservare il tonno rosso. Secondo il WWF, questo pesce andrebbe consumato «molto raramente» e solo se proveniente da catture responsabili. 

Non dovremmo aspettare che questi pesci arrivino sull'orlo del collasso prima di agire per gestirli in modo sostenibile
Catherine Volger

Preoccupa il merluzzo

Lo abbiamo detto: quella del tonno rosso è una storia da cui c'è tanto da imparare. Soprattutto perché, come sottolinea l'esperta, ci sono altri pesci che potrebbero trovarsi, prima o poi, in situazioni di minaccia simili. «Il Mediterraneo era una delle aree più sovrasfruttate a livello globale, con un drammatico 89% di stock sovrasfruttati nel 2012. Nell'ultimo decennio, grazie al miglioramento della gestione regionale della pesca, il numero di stock sovrasfruttati è sceso al 58%. Lo stato di specie che vivono sul fondo, come la sogliola nell'Adriatico, il rombo nel Mar Nero e il nasello nel Mediterraneo, è migliorato notevolmente. Tuttavia, la maggior parte delle specie commerciali nel Mediterraneo sono ancora pescate a livelli insostenibili e c'è ancora molto da fare». 

Un esempio è quello del merluzzo atlantico. La maggior parte degli stock di questo pesce, infatti, è crollata negli anni '90 a causa della pesca eccessiva. In alcuni casi, fino al punto di collasso. «Nonostante decenni di sforzi di ricostituzione, di gestione rigorosa della pesca e persino di divieti di pesca, la maggior parte degli stock non si è ripresa, e quella del merluzzo atlantico rimane una situazione disastrosa», ammette Volger. 

Il problema, però, non è solo questo. Il 38% degli stock commerciali di tutto il mondo, per tutte le specie di pesci, è ancora sovrasfruttato. Una situazione che porta, inevitabilmente, a qualche riflessione ulteriore. «Non dovremmo aspettare che questi pesci arrivino sull'orlo del collasso prima di agire per gestirli in modo sostenibile. Le misure che hanno portato al successo della ricostituzione di altre specie, come il tonno rosso dell'Atlantico, dovrebbero essere replicate con urgenza». 


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