«È inutile parlare di futuro nel caso del cambiamento climatico, ci siamo dentro in pieno»
I dati si accavallano. Uno sopra l'altro. Restituendoci l'immagine di un pianeta, il nostro, che non solo si sta scaldando a ritmi vertiginosi. Ma che, parafrasando il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, sta iniziando a bollire. E noi, intesi come umanità, sembriamo come la rana nella pentola. Rischiamo di svegliarci, e agire, quando sarà troppo tardi. Possibile? Evidentemente sì. Per capirne di più, e per analizzare la comunicazione meteorologica e quella climatica, ci siamo rivolti a Serena Giacomin. Laureata in fisica con specializzazione in fisica dell’atmosfera e meteorologia, è meteorologa, climatologa nonché presidente dell’Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima.
Riavvolgiamo il nastro, brevemente: gli incendi in Grecia e in Sud Italia, i nubifragi fra Lombardia e Veneto. In mezzo ondate di calore e temperature record. Tutte facce di una stessa medaglia, ma in che modo?
«Gli effetti del riscaldamento globale sono tanti, è vero. Dalla fusione dei ghiacci e relativo innalzamento dei mari alla perdita di biodiversità. E la colpa, appunto, è delle concentrazioni di gas clima-alteranti nell'atmosfera, riscaldatasi sempre di più. Fra gli effetti più preoccupanti c'è la cosiddetta estremizzazione climatica. Ovvero, il fatto di passare brevemente da un eccesso all'altro. Ma per capire questo concetto è bene fare un po' di chiarezza».
Prego...
«Spesso, tendiamo a confondere concetti meteorologici con concetti climatici. Meteorologia e climatologia, però, non sono la stessa cosa. La prima si basa su modelli matematico-fisici ed è deterministica. Non è una parolaccia, mi riferisco alle equazioni che cercano di determinare l'evoluzione dell'atmosfera. Le previsioni del tempo, ecco. La seconda, invece, ha una base decisamente più statistica. E ragiona su intervalli temporali di almeno trent'anni. Da una parte, dunque, abbiamo l'oscillazione meteorologica e, dall'altra, la tendenza climatica. Quello che succede, beh, è che queste oscillazioni sono sempre di più e sempre più repentine. E gli effetti, con maggiore frequenza, sono difficili da sopportare. Ecco perché diciamo che un nubifragio o temperature record sono due facce della stessa medaglia. Cambiamento climatico non significa che farà solo e sempre più caldo. Significa che avremo continui sbalzi: dal caldo estremo, ad esempio, a fenomeni precipitativi violenti. Uno studio pubblicato su Nature ha definito questi sbalzi veri e propri colpi di frusta climatici. Colpi che limitano fortemente le nostre capacità di adattamento».
Può farci un esempio concreto?
«Fra il dicembre 2021 e la primavera del 2023 abbiamo avuto un periodo di siccità molto duraturo e preoccupante. Ci chiedevamo, ad esempio, come sarebbe stata l'estate attuale. Arrivando alla conclusione che, se fosse stata fortemente siccitosa, difficilmente avremmo trovato una soluzione per l'approvvigionamento idrico. Dopodiché, è successo che l'Italia è stata colpita da un evento alluvionale senza precedenti. Evento che ha ridotto le nostre capacità di adattamento proprio perché eravamo tutti concentrati su come ridurre il danno derivante dalla siccità. Si sono, come dicevo, accorciate le tempistiche da un evento estremo all'altro. E questa cosa ci sta mettendo in forte difficoltà. Non tanto per l'evento di turno in sé, di forte impatto, ma perché il concatenarsi di eventi ci dà meno tempo e spazio per cercare di capire come gestire il rischio».
L'Italia, in particolare, quest'estate ha conosciuto nello spazio di pochi giorni tanto le ondate di calore quanto i nubifragi.
«Abbiamo avuto a che fare con i chicchi di grandine più grossi d'Europa, con piogge e raffiche di vento capaci di abbattere alberi. Vero, nelle città si può fare di più per il verde urbano. Ma non è solo una questione di radici se ti piomba addosso un evento simile. È una questione di intensità del fenomeno. Milano, all'indomani del downburst, era irriconoscibile. Dall'altra parte, invece, abbiamo avuto punte fino a 48 gradi. Siccome non esistono barriere architettoniche che dividono il Paese, il calore dei mari e dell'atmosfera hanno fatto sì che, nel momento in cui è arrivata una perturbazione, si scatenasse un evento temporalesco drammaticamente intenso».
Recentemente, fra gli altri, gli scienziati della rete World Weather Attribution hanno legato questi fenomeni intensi proprio all'attività antropica. Senza quest'ultima, ad esempio, le ondate di calore non avrebbero avuto questa violenza. Non esistono più dubbi circa il ruolo esercitato dall'uomo sul cambiamento climatico, giusto?
«Mi occupo di fisica del clima. Ma anche di comunicazione e divulgazione. Perciò, riesco a vedere tutti i livelli di discussione. Ed è frustrante vedere come il dibattito, in realtà, sia ancorato esclusivamente ai media. Non esiste dibattito scientifico sull'origine del riscaldamento globale: è stato l'uomo, punto. La scienza va avanti per dubbi, è vero, ma grazie al metodo scientifico. I dubbi, cioè, devono essere ragionevoli e razionali. Laddove quelli irrazionali ci stanno portando lontano da ciò che dice la scienza. Il problema, appunto, è che questi dubbi animano il dibattito sui media. Un dibattito incredibilmente vivace, mentre a livello di comunità scientifica internazionale non esiste. C'è un enorme sbilanciamento, insomma, e così stiamo perdendo il fuoco del problema. Ci fissiamo sugli estremi: i negazionisti o chi soffre di eco-ansia. Nessuno, per contro, che discuta su come avvisare la cittadinanza, su come mettere in sicurezza il territorio, su come gestire i fondi. E questo è un problema enorme. Il negazionismo, di suo, rallenta la messa in sicurezza della popolazione. E credo sia qualcosa di estremamente grave».
Non aiuta, forse, il fatto che si parli sempre di un ipotetico domani: la crisi, per contro, è ora, adesso, oggi. L'area mediterranea si sta già trasformando, ad esempio.
«È inutile parlare di futuro nel caso del cambiamento climatico. Ci siamo dentro in pieno. È qualcosa legato al presente che, semmai, in futuro andrà ad aggravarsi mettendoci sempre più in difficoltà. Magari, questo sì, in modo non continuativo».
In che senso?
«Ad agosto, in Italia, avremo alcuni giorni più freschi rispetto alla norma. E so già come verrà interpretata la cosa... Si farà confusione fra clima e meteo, fra locale e globale. Ma se l'Italia avrà un'anomalia negativa e il resto del mondo continuerà ad avere anomalie positive, parlo di temperature, il problema è tutto fuorché risolto. Il punto è che la percezione vince sempre sul dato. Dobbiamo impegnarci, in tal senso, perché ciò accada sempre meno. L'area del Mediterraneo, tornando alla domanda, è un hotspot del riscaldamento globale. Un punto caldo e particolarmente vulnerabile all'estremizzazione climatica. Non è questione di estremizzare o no, ma di trasformare i dati e le informazioni a nostra disposizione in uno strumento. Non in un argomento di dibattito e opinionismo. La scienza del clima non produce dati per fare sensazionalismo, ma perché vengano utilizzati».
A suo giudizio, dove deve situarsi il giusto equilibrio in termini di scelte politiche? I governi sembrano molto attendisti sulla riduzione delle emissioni e anche sul fronte dell'adattamento non sono affatto veloci. Che fare?
«Credo ci sia un'inerzia enorme. Anche per gli interessi in gioco. Attuare una transizione ecologica vuol dire disegnare una strategia efficace. In tutti i sensi. Non solo nel ridurre i rischi legati al clima, ma anche diminuendo il più possibile lo stress a livello sociale ed economico. Non è facile, lo riconosco, perché significa mettere in sinergia competenze di vario tipo. Dovrebbe, però, almeno esserci l'intenzione. Mentre osserviamo di continuo che l'argomento viene posticipato. Così, però, si diffonde il dubbio fra la popolazione».
Rimaniamo sulla comunicazione: perché, durante l'ultima ondata di calore in Italia, alcuni suoi colleghi meteorologi hanno minimizzato le alte temperature? Non è strano che lo abbiano fatto? E non è un assist, questo, per i negazionisti?
«Più che strano, è estremamente dannoso. Un'ondata di caldo ha un impatto a livello sanitario importante, va comunicata con rigore e con fermezza. L'obiettivo principale dell'informazione meteorologica e climatica è trasmettere le giuste conoscenze alla cittadinanza, affinché il rischio venga effettivamente gestito. Il fatto che alcune persone, in qualche modo, abbiano creato e creino confusione vanifica lo sforzo. E ci allontana dall'obiettivo. Così, è vero, si presta pure il fianco a una comunicazione che nega il rischio e nega addirittura il cambiamento climatico. Io, personalmente, l'ho presa male. Se continuiamo così, difficilmente riusciremo a comunicare nella maniera corretta. Perché alcuni colleghi abbiano agito in questo modo, sinceramente, non saprei. Non mi occupo di psicologia. È una domanda che andrebbe posta a loro».
Parentesi legata al Mediterraneo e al Nord Atlantico: quanto preoccupa il fatto che stiano diventando delle vasche Jacuzzi? E qual è, invece, l'apporto del Niño, un fenomeno naturale?
«In generale, quando un mare è caldo significa che dà molta più energia all'atmosfera. Evapora molto più velocemente. E l'energia, intesa come calore e umidità, è il combustibile dei temporali. Aumentando questa temperatura in superficie, di fatto, aumenta la capacità dell'aria e dell'atmosfera di accumulare vapor d'acqua. E il vapor d'acqua è legato alla pioggia che può cadere. Un mare caldo, come il Mediterraneo ultimamente, e temperature esageraamente elevate al suolo amplificano l'effetto di instabilità. Se, come detto, arriva una perturbazione o arriva aria più fresca in quota, il moto convettivo verticale acquisisce intensità. Quanto agli effetti del Niño, quelli più importanti li vedremo soprattutto l'anno prossimo».
In che senso gli eventi che di recente hanno messo in ginocchio l'Italia sono estremi?
«Avere raffiche oltre i cento chilometri orari a Milano non è normale. Solitamente, l'intensità è fra i cinquanta e i sessanta. Averne registrate di così violente in un centro cittadino non è certo usuale. Come non sono usuali i chicchi grossi come saponette, se non di più. Nessuno sta dicendo che in passato non abbia mai grandinato, ci mancherebbe. Il punto, semmai, è la violenza di questi episodi. Raffiche da cento chilometri orari rientrano nelle raffiche da burrasca. E un altro problema è la frequenza. Poniamo pure che, che ne so, trenta o quarant'anni fa ci fu una grandinata simile a quella che ha colpito il Veneto. È perfettamente inutile pescare dal passato un singolo, devastante evento. Il discorso, oltre all'intensità, è legato proprio all'aumento di frequenza. Quante grandinate abbiamo avuto nell'ultimo periodo? Quanto stanno aumentando rispetto agli anni passati? Bisogna ragionare, in maniera sana, su questi aspetti. E non polarizzare il discorso, come fosse una lotta. In Italia, al riguardo, abbiamo avuto giorni e settimane difficili. E, di fatto, non c'è stato spazio per la semplice comunicazione di dati».
Azzardare un paragone con il Covid, forse, è sbagliato. Eppure, durante l'emergenza coronavirus i Paesi di tutto il mondo riuscirono a reagire in maniera relativamente breve. Perché questa velocità non si registra altresì nella lotta al riscaldamento globale?
«Credo che, effettivamente, ci siano tante analogie. Si trattava, ieri come oggi, di una situazione di crisi ed emergenza. Il governo italiano, rimanendo all'Italia, reagì. Capì, in sostanza, di doverlo fare immediatamente. Supportato dal Comitato scientifico. Ciononostante, all'interno del governo c'erano comunque posizioni contrastanti. Forse non così decise. Ma contrastanti. Anche nel caso del cambiamento climatico, ad ogni modo, c'è chi in politica tende a minimizzare. Con il Covid, all'epoca, si diceva che alcuni allarmi erano ingiustificati. Il riscaldamento globale ha caratteristiche che, di suo, permettono ancora di più il fenomeno di disseminazione del dubbio. E questo perché ha scale temporali diverse e, a livello di percezione, non è semplice imbrigliarlo. C'è chi, per dire, affermava che avere 45 gradi in Sicilia a luglio fosse normale. Il cambiamento climatico è un tema che è sempre stato trattato come legato al futuro e non al presente. Ed è più complesso di un'emergenza sanitaria. Se poi comunichiamo in questo modo, si crea un rallentamento, forte, in termini di reazione. E pure questo è un problema enorme».