Ambiente

Primo passo per uscire dal fossile, ma il voto «storico» della COP28 potrebbe essere monco

La Conferenza ONU sul Clima chiede un «Abbandono graduale» dei combustibili fossili e fissa al 2050 l’obiettivo di emissioni zero di anidride carbonica - Come sempre le decisioni finali non sono vincolanti per i singoli Paesi - La soddisfazione della Svizzera espressa dall’UFAM
La COP28 si è chiusa dopo 13 giorni di discussione con un documento di compromesso. © The Associated Press
Dario Campione
13.12.2023 23:45

Per la prima volta da quando il mondo ha iniziato a discutere seriamente il problema del cambiamento climatico - è accaduto tre decenni fa, al summit di Rio de Janeiro del 1992 - i rappresentanti di quasi 200 Paesi hanno approvato un patto globale che chiede esplicitamente di «abbandonare i combustibili fossili» che stanno surriscaldando il pianeta: petrolio, gas e carbone.

La formulazione esatta (stilata in inglese) di quella che appare comunque come una storica intesa, contenuta al punto 28 della dichiarazione finale della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Dubai, la cosiddetta COP28, è questa: «Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science», ovvero: «Abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere le emissioni zero entro il 2050 in linea con le indicazioni della scienza».

Quando la discussione sembrava essersi arenata, assieme a ogni possibile accordo, a causa delle distanze troppo grandi esistenti soprattutto tra i Paesi arabi dell’OPEC (guidati dall’Arabia Saudita) e le nazioni occidentali, il presidente della COP28, Sultan Ahmed al-Jaber, ha deciso di forzare la mano. Dal testo finale è così scomparsa la tanto temuta (dai produttori di combustibili fossili) «phaseout», la «fuoriuscita» da petrolio e gas, ed è apparso il «Transitioning away», ovvero l’abbandono graduale.

Compromesso al ribasso necessario per non far naufragare la Conferenza o geniale soluzione politico-semantica rivolta nella direzione della svolta ambientale? Accordo storico, come ha scritto qualcuno, «che segnerà in ogni caso la fine dei combustibili fossili o un passo in più sulla strada per l’inferno»?

Nessuno è stato in grado di dirlo con assoluta certezza. A partire dal fatto che i Paesi più sviluppati (e più inquinanti) e le nazioni produttrici di petrolio non saranno obbligati a muoversi così velocemente, come pure sollecita la scienza del clima. Il nuovo accordo non è infatti giuridicamente vincolante e non può, da solo, costringere alcun governo ad agire, per quanto nei prossimi due anni ogni nazione dovrebbe presentare un piano dettagliato e formale su come intende ridurre le emissioni di gas serra fino al 2035.

Certo è che i Paesi in via di sviluppo hanno ancora bisogno di centinaia di miliardi in più di finanziamenti per avviare con successo una transizione da carbone, petrolio e gas. Altrettanto vero è che l’intesa, pure imperfetta, ha incontrato una colossale opposizione da parte dei Paesi produttori di petrolio.

L’Arabia Saudita ha tentato sino alla fine di rimuovere dalla dichiarazione conclusiva ogni riferimento ai combustibili fossili; poi, ha provato a inserire riferimenti alla cattura e allo stoccaggio del carbonio, «una tecnologia - ha ironizzato uno degli inviati del New York Times a Dubai - che professa di amare ma in cui stranamente non riesce a investire. Mentre la Russia ha lavorato dietro le quinte per far naufragare i progressi, e lo farà ancora di più l’anno prossimo, quando si terrà a Baku, in Azerbaigian, la COP29».

Una sintesi perfetta

La sintesi di quanto accaduto negli Emirati Arabi è forse condensata nelle parole di María Susana Muhamad, ministra colombiana dell’Ambiente e dello Sviluppo sostenibile, nota per le sue posizioni fortemente ecologiste: «Questa non è una transizione che avverrà da un giorno all’altro - ha detto - Intere economie e società dipendono dai combustibili fossili. Il capitale fossile non scomparirà solo perché abbiamo preso una decisione qui». E tuttavia, ha aggiunto, «l’accordo invia un forte messaggio politico che questa è la strada». Tutto dipenderà dalle scelte concrete dei singoli Paesi. Troppo spesso, in passato, gli accordi sul clima non sono riusciti a incoraggiare un’azione significativa. Due anni fa, ad esempio, si raggiunse sulla carta un accordo a Glasgow per «ridurre gradualmente» le centrali elettriche a carbone. Ma la Gran Bretagna, che pure aveva promosso l’intesa, nel 2022 ha aperto una nuova miniera di carbone, mentre l’uso globale dello stesso carbone è salito nel 2023 a livelli record.

La prima bozza della dichiarazione finale di Dubai conteneva peraltro l’esortazione allo stop del rilascio di permessi per nuove centrali elettriche a carbone, a meno che non si fosse in grado di «catturare» le emissioni di CO₂. Ma Cina e India, che stanno tuttora costruendo nuove grandi centrali a carbone per soddisfare la propria crescente domanda di energia, si sono opposte a restrizioni troppo rigide. Così, il riferimento alle nuove centrali è stato rimosso dalla versione finale del documento, nel quale si dice che i cosiddetti «combustibili di transizione» possono svolgere un ruolo nel passaggio verso l’energia pulita e garantire in questo modo la sicurezza energetica. Quali siano questi «combustibili di transizione», però, nessuno lo sa con certezza, anche se in molti hanno letto il punto come un cedimento a Russia e Iran, Paesi produttori di gas naturale, i quali avevano chiesto esplicitamente che nel testo fossero inclusi appunto i «combustibili di transizione».

La posizione elvetica

In un comunicato stampa diffuso nel primo pomeriggio, l’Ufficio federale per l’ambiente (UFAM) ha giudicato «positivo» il compromesso finale della COP28. La formulazione adottata, scrive l’UFAM, «ammette anche l’impiego di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di CO₂. E la Svizzera si impegnerà affinché le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di CO₂ vengano utilizzate soltanto per le emissioni difficili da prevenire».

L’UFAM ha specificato in dettaglio i contributi che la Confederazione ha stanziato «per raggiungere l’obiettivo di raddoppiare il finanziamento per l’adattamento ai cambiamenti climatici: 135 milioni di franchi per il Fondo verde per il clima (Green Climate Fund); 15 milioni per il Fondo di adattamento (Adaptation Fund); 15 milioni per la finestra per il clima della Banca africana di sviluppo; 5 milioni per il Fondo per l’Amazzonia; e 1 milione per la Rete di Santiago. Quest’ultima, composta da istituzioni ONU e ONG, fornisce sostegno tecnico ai Paesi colpiti da catastrofi, ad esempio nell’allestimento di sistemi di allerta precoce».

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