Si apre a Dubai il vertice sul clima, ma la COP28 è oscurata dalle guerre
Inizia giovedì, a Dubai, la COP28, appuntamento giudicato da molti studiosi e osservatori come strategico per frenare il surriscaldamento globale. Ecco, in sintesi, i punti più significativi della conferenza chiamata, tra l’altro, a verificare gli esiti dell’accordo siglato a Parigi nel 2015.
Che cos’è la COP?
La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC, Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Entrata in vigore il 21 marzo 1994, la Convenzione è stata ratificata da 197 Paesi. L’obiettivo della UNFCCC è «prevenire le interferenze umane definite come pericolose per il clima». La COP si è riunita la prima volta a Berlino nel 1995. Negli anni, le conferenze hanno assunto una rilevanza crescente fino a diventare appuntamenti fondamentali dell’agenda internazionale. Esse, infatti, stabiliscono priorità e tempi dell’azione climatica globale; rappresentano l’occasione per la negoziazione e l’assunzione di impegni da parte dei Governi; favoriscono il dialogo tra le istituzioni, le organizzazioni intergovernative, gli attori non statali e le rappresentanze della società civile. Di norma, le COP si concludono con la ratifica di un accordo, o «patto».
Com’è organizzata la COP28 e qual è il programma dei lavori?
I lavori della COP28 si svolgeranno ufficialmente da giovedì al 12 dicembre all’Expo City di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. In realtà, molte delegazioni sono già al lavoro da giorni in sessioni informali. Sabato e domenica prossimi è previsto il vertice mondiale sull’azione per il clima, cui parteciperanno numerosi capi di Stato e di Governo, oltre a leader riconosciuti della società civile impegnati sulle questioni ambientali. Il programma tematico prevede giornate dedicate alla finanza, all’energia e alla natura e - novità di quest’anno - alla salute. I negoziati finali sono previsti per l’11 e il 12 dicembre, ma probabilmente, così come già accaduto in altre occasioni, l’accordo conclusivo sarà siglato soltanto dopo la chiusura formale dei lavori.
Che cosa è successo nelle precedenti COP?
La COP1 di Berlino, nel 1995, è stata una pietra miliare di questo lungo percorso e ha posto le basi per il «Protocollo di Kyoto» (approvato due anni dopo), il primo accordo globale sul clima. Il Protocollo di Kyoto chiedeva in realtà soltanto alle nazioni ricche e industrializzate di ridurre le emissioni, lasciando liberi i Paesi in via di sviluppo - comprese le principali economie emergenti come Cina, India e Brasile - di ridurre le emissioni volontariamente. Per molti anni USA e Cina hanno discusso animatamente su chi avesse (o dovesse avere) la maggiore responsabilità nell’affrontare il cambiamento climatico. Nel 2014, Washington e Pechino hanno infine accettato di adottare misure concordate per affrontare il riscaldamento globale. L’intesa ha portato al cosiddetto «Accordo di Parigi», firmato nel 2015. Sotto la presidenza Trump, gli USA si sono ritirati dall’accordo di Parigi, per poi rientrare dopo l’elezione del democratico Joe Biden.
Perché la COP28 è così importante?
In uno scenario in cui gli scienziati hanno già dichiarato il 2023 come l’anno più caldo mai registrato nella storia dell’umanità, sono numerose le ragioni per cui la COP28, rispetto alle precedenti, assume particolare importanza. In primo luogo, durante la conferenza di Dubai si chiuderà il bilancio globale dei progressi fatti verso gli obiettivi fissati nella capitale francese, il cosiddetto Global Stocktake (GST). Istituito dall’accordo del 2015, il GST è il primo resoconto dell’impatto delle azioni per il clima adottate dai Paesi membri dell’UNFCCC, e include anche una verifica della loro validità per raggiungere gli obiettivi. Qualora fossero riscontrate lacune, cosa che sembra scontata, saranno definite le nuove strategie per garantire i risultati attesi. Un’altra ragione per cui la COP28 è particolarmente rilevante riguarda il fondo di 100 miliardi di dollari che le nazioni più ricche dovrebbero garantire annualmente ai Paesi più poveri e in via di sviluppo; un fondo promesso ormai da 14 anni e che dovrebbe essere messo finalmente sul tavolo. Secondo la comunità scientifica internazionale, inoltre, la COP28 sarebbe l’ultima occasione per mantenere l’obiettivo del non superamento della fatidica soglia di +1,5 °C fissato a Parigi. Senza una decisa inversione di rotta nelle emissioni di CO₂ in atmosfera, si andrebbe verso un catastrofico riscaldamento globale di +2,5 °C nel 2100.
Perché il successo della COP28 è legato alla soluzione del nodo dei risarcimenti ai Paesi emergenti?
Secondo quanto emerso nella precedente conferenza, la COP27, se si vogliono raggiungere gli obiettivi di Parigi i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di oltre 2.400 miliardi di dollari di investimenti all’anno da destinare all’azione per il clima entro il 2030. Il finanziamento delle perdite e dei danni (Loss and Damage) nella battaglia per il clima ha dominato le discussioni della COP27 e l’accordo per istituire un fondo in tal senso è stato celebrato come una grande vittoria alla fine del vertice di Sharm el-Sheik. Ma il comitato transitorio incaricato di verificare il possibile funzionamento di questo fondo non è riuscito sin qui a produrre alcun risultato. A Dubai sono quindi attese le nuove indicazione su come come rendere operativo il fondo Loss and Damage, la cui prima riunione dovrebbe avvenire entro la fine di marzo 2024. Senza questo fondamentale piano d’azione è impossibile inserire tutti i Paesi nel sistema globale della finanza climatica.
Perché l’organizzazione della COP28 ha suscitato controversie, soprattutto tra le associazioni ambientaliste?
La COP28 sarà presieduta da Sultan Ahmed al Jaber, numero uno della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), tra i più grandi estrattori al mondo di petrolio e gas. A margine di una lunga inchiesta pubblicata dal Guardian pochi giorni fa e dedicata proprio alla ADNOC, il responsabile della ricerca su petrolio e gas della ONG tedesca Urgewald, Nils Bartsch, ha definito «ridicola» la decisione di far presiedere la COP28 da al Jaber: «Non riesco a comprendere come una persona responsabile di questo tipo di espansione del petrolio e del gas sia adatta a guidare i negoziati sul clima. È il conflitto di interessi più evidente che possa esserci», ha detto Bartsch. In realtà, non è solo l’industria dei combustibili fossili a rendere controversi gli Emirati Arabi. Nel Paese, hanno sottolineato ancora negli ultimi giorni i ricercatori di Human Rights Watch, «vige la tolleranza zero per il dissenso verso l’autorità statale».
In che modo le guerre in atto influenzeranno la COP28?
La guerra tra Israele e Hamas e il conflitto Russo-ucraino hanno sicuramente oscurato l’attenzione internazionale e messo in secondo piano i colloqui sul clima. Le due guerre hanno anche reso molto più difficile la prospettiva che i Paesi ricchi mantengano le promesse di finanziamenti per il clima a favore delle nazioni povere: molti Paesi industrializzati stanno infatti fornendo aiuti a Israele, Gaza e Ucraina. La guerra ha inoltre spinto Gerusalemme a ridurre la sua partecipazione alla COP28. La delegazione inizialmente prevista, circa mille persone, chiamata tra l’altro a celebrare gli «Accordi di Abramo» che normalizzano le relazioni tra Israele ed Emirati, è stata ridotta. Maya Kadosh, coordinatrice nazionale di Israele per la COP28, ha detto al New York Times che «non sarà la COP28 sperata. Tuttavia, ci saremo. Se non fossimo andati, sarebbe stata un’altra vittoria dei nostri nemici».