L'inchiesta

Troppi lobbisti e disinformatori alla COP28, organizzatori sotto accusa

Sono almeno 166 i negazionisti del clima che hanno avuto accesso ai negoziati a porte chiuse da cui la società civile e i gruppi di base sono stati invece esclusi
La protesta di alcuni attivisti alla COP28 di Dubai. ©Copyright 2023 The Associated Press. All rights reserved.
Dario Campione
12.12.2023 23:11

Che la strada verso un documento finale condiviso e fortemente “green” sarebbe stata difficile e accidentata era chiaro a tutti. E molto tempo prima che i lavori di COP28 prendessero il via. Troppi i lobbisti del petrolio e del gas accreditati alla Conferenza delle Nazioni Unite. Un numero mai visto prima, tanto da far dire a qualche commentatore che la preminenza degli interessi economici sulla lotta al cambiamento climatico si è manifestata negli Emirati Arabi «in modo straordinariamente sfacciato». A Dubai, secondo i dati diffusi dalla coalizione di organizzazioni no-profit Kick Big Polluters Out, sono stati ben 2.456 gli accrediti concessi ai lobbisti dell'industria dei combustibili. L’anno scorso, a Sharm El Sheikh, erano stati solo 636 e nel 2021, a Glasgow, 503. A titolo di paragone, quest’anno tutti assieme i delegati delle dieci nazioni più vulnerabili al cambiamento climatico superavano a malapena quota 1.500.

Come se non bastasse, Corporate Accountability - un’altra ONG con sede a Boston e attiva, da quasi 50 anni, in una serie di campagne su ambiente, salute e democrazia - ha scoperto che gli organizzatori hanno dato via libera all’accesso a COP 28 a gruppi commerciali, think tank e agenzie di pubbliche relazioni impegnati nel promuovere informazioni orientate a negare il problema del surriscaldamento globale del pianeta. Secondo il Guardian, che ha dato la notizia, sarebbero stati almeno 166 i negazionisti del clima e i professionisti delle pubbliche relazioni dei combustibili fossili presenti a Dubai. Tutte persone che hanno avuto anche accesso a negoziati a porte chiuse da cui la società civile e i gruppi di base sono stati esclusi. Il numero reale di questi «disinformatori», sottolinea però il Guardian, «è probabilmente molto più alto, in quanto soltanto gli organismi più importanti sono stati inclusi nell'analisi» di Corporate Accountability.

Il deragliamento

Se l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) vieta alle aziende del tabacco e ai lobbisti di partecipare ai propri vertici, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (la cui sigla è UNFCCC) non ha una politica sul conflitto di interessi che permetta agli organizzatori di vietare l’ingresso alle COP ai negazionisti del cambiamento climatico o ai rappresentanti dell’industria estrattiva di combustibili fossili. E tra questi ostruzionisti dell’azione per il clima presenti alla COP28 c’era pure l’American Petroleum Institute (API), il più grande gruppo commerciale al mondo di combustibili fossili, il quale per anni - scrive ancora il Guardian - ha bloccato gli sforzi per approvare una legislazione nazionale che limitasse le emissioni di gas serra. Documenti interni suggeriscono che l’API, delegata a partecipa alla Conferenza di Dubai con una delegazione di osservatori accreditati in modo del tutto simile a quelli di Greenpeace, ha fuorviato il pubblico sul cambiamento climatico fin dagli anni ’80 del secolo scorso.

«Organizzazioni come l’API hanno lo stesso accesso delle ONG di interesse pubblico. E con un posto al tavolo, hanno la capacità di influenzare i decisori incaricati di assumere scelte politiche nell’interesse delle persone e del pianeta», ha commentato Ashka Naik, direttrice ricerca e policy di Corporate Accountability.

Molto più diretto e drastico il commento di David Armiak, direttore ricerca del Center for Media and Democracy, ONG di giornalismo investigativo fondata nel 1993 a Madison (Wisconsin): «L’inclusione di gruppi negazionisti e società di pubbliche relazioni dell’industria dei combustibili fossili alla Cop28 è servita a vomitare disinformazione sul clima e a far deragliare i colloqui».