Andrea Fazioli: «Mi piace osservare la realtà da punti di vista differenti»

Il nome di Andrea Fazioli è, per i lettori, legato a quello di Elia Contini, l’investigatore privato al centro di molti suoi romanzi di successo. Nell’universo letterario dell’autore bellinzonese fa ora la comparsa un nuovo personaggio. Anzi due: l’ex commissario della polizia cantonale ticinese Giorgio Robbiani e la sua insolita assistente, la tunisina Zaynab Ammar, protagonisti de Il commissario e la badante (in uscita domani per l’editore Guanda): una novità per Fazioli anche stilistica, essendo il libro una via di mezzo tra la raccolta di racconti ed il romanzo vero e proprio.
Come mai la scelta di questo inedito format, ossia una raccolta di racconti brevi che si dipanano come un romanzo?
«La mia scrittura ha sempre avuto diverse anime, sebbene non tutte abbiano trovato una manifestazione pubblica. Tra queste c’è il racconto (o il testo) breve che da sempre mi affascina perché ti costringe a lavorare di sintesi, di sottrazione. In questo caso, l’idea di una serie di racconti brevi, ma con gli stessi protagonisti, è nata da un lato dal desiderio di lavorare su un’evoluzione a lungo termine dei personaggi, ma allo stesso tempo di creare dei testi in grado di vivere autonomamente. Inoltre il testo breve ti permette di sperimentare: alcuni dei racconti che compongono il libro ho potuto scriverli in un certo stile, altri in uno stile diverso. In alcuni ho potuto tornare a luoghi a me cari (uno di questi, ad esempio, è ambientato a Corvesco, dove abita Elia Contini che i due protagonisti incontrano), in altri ho esplorato alcune mie passioni. Tutti elementi che ho potuto trasformare in narrazione approfittando anche del fatto che i racconti che compongono il libro non sono stati scritti di seguito, ma settimana dopo settimana nell’arco di un paio di anni, per essere pubblicati - seppur in forma diversa rispetto a come appaiono nel libro - sulla rivista Cooperazione. Racconti che sono diventati una sorta di diario che poi, nel tempo, si è trasformato in un qualcosa di più grande ma senza calcolo, in modo quasi spontaneo».

Una serialità quella de Il commissario e la badante che ricorda molto quella televisiva, anch’essa fatta di singoli episodi che stanno in piedi da soli ma legati da un fil rouge...
«C’è questo aspetto, ma rispetto alle serie tv qui manca il cliffhanger, ovvero il finale sospeso dal quale ricominciare nell’episodio successivo. È vero che anche nel libro ci sono delle storie che continuano per più racconti, però non consecutivamente. Ho sì cercato di seguire una dimensione orizzontale però senza quella suspense che ti obbliga ad andare avanti. Ne Il commissario e la badante ci sono infatti racconti polizieschi dove c’è un finale, una piccola rivelazione, una scoperta da parte dei protagonisti, ma anche altri di pura quotidianità, alla Cechov o alla Raymond Carver (tanto per citare due miei modelli) dove sembra non succeda niente e si vedono solo questo vecchio poliziotto e la sua badante nella loro routine. E l’essere riuscito ad inserire, in un contesto di racconti comunque polizieschi, anche narrazioni di questo tipo, è importante perché vuol dire che non esiste solo la suspense, il noir, la violenza, ma che, in fondo il mistero maggiore resta ancora il racconto della quotidianità».
Parliamo ora dei due protagonisti: un anziano commissario ticinese e una giovane badante tunisina. Come nasce questa strana coppia?
«Dal fatto che non mi interessavano dei racconti con un personaggio fisso che finisce per dominarli offrendo un unico punto di vista. Ho deciso dunque di cimentarmi con racconti che osservino la realtà quotidiana da due punti di vista completamente diversi, e senza che in nessuno dei due ci sia il mio. Sono dunque partito dall’elemento anagrafico: ovvero la visione di un anziano e quello di un giovane. Poi mi sono detto che avrei potuto mettere assieme anche quella di uno svizzero e di una straniera. E naturale è stato pensare ad una persona che viene dall’altra parte del Mediterraneo, da quel mondo musulmano che è la prima, vera alterità con cui abbiamo a che fare in Europa. Quindi non solo un vecchio e una giovane, non solo uno svizzero e una straniera, ma anche un post-cristiano, ossia un non credente ma cresciuto nella tradizione cristiana e una musulmana. Infine ho aggiunto il dettaglio di un pensionato più o meno benestante e di una migrante. Ne è venuta fuori un’unione tra gli opposti potentissima che mi ha permesso di guardare ogni cosa con questo doppio punto di vista e di scoprire aspetti nuovi della nostra realtà».
Quanto è stato difficile mettere assieme questi punti di vista?
«Parecchio perché, anzitutto, c’è stato un lavoro di immedesimazione che, visto che si tratta di personaggi molto diversi da me, ho cercato di portare avanti ispirandomi a persone che conosco. Poi per la necessità di annullare me stesso e ciò in cui credo, il recinto delle mie certezze, per calarmi completamente nei panni di un altro –e a volte non è stato facile specialmente nel ritmo di un racconto breve, a cadenza settimanale. E infine perché una volta calatomi nel personaggio avevo voglia di scrivere di più mente invece nel racconto c’è necessità di sintesi, devi avere un’intuizione, perché è su questo che si basa un racconto».



Ha parlato di unione tra opposti, tra il mondo arabo e quello occidentale. Ma nei racconti , personalmente, ho intravisto anche un terzo elemento, la filosofia orientale, visto che i quadretti dipinti sono spesso molto «zen».
«È vero. Nella tradizione letteraria orientale la brevità è ben presente sia nei frammenti, sia nella poesia breve come l’haiku o nel fatto di lavorare con il bianco, di levare. Elementi che da sempre mi affascinano e che, pur sotto traccia, mi hanno sempre spinto a lavorare molto in questa direzione. Soprattutto in questo caso: con i romanzi il discorso è diverso in quanto bisogna mettere in piedi strutture più articolata e complesse».
Questi esperimenti dove la porteranno?
«Questo libro di racconti per me è già una sorpresa. Perché la proposta di realizzarlo è giunta in modo inatteso e perché ho portato avanti il progetto cercando di conservare la dimensione spontanea, fresca in cui sono nati, anche a rischio di sfiorare a volte la superficialità. Adesso mi piacerebbe continuare a lavorare su queste dinamiche: l’incontro, il doppio punto di vista, il noi e gli altri con cui siamo confrontati in Europa. Elementi che anche nei romanzi di Elia Contini, che presto o tardi tornerò a scrivere, vorrei inserire. Inoltre mi piacerebbe molto sperimentare la collaborazione con altri autori (cosa che tra l’altro sto già facendo) partendo da frammenti sui quali costruire. Il tutto ovviamente al di là del romanzo che comunque resta il mio principale mezzo espressivo».