L'intervista

Quando i mostri e i robot di H.R. Giger occuparono il San Gottardo

Fino al 16 febbraio Torino ospiterà una mostra dedicata all'universo dell'artista svizzero, morto nel 2014 – Ne parliamo con Marco Witzig, fra i massimi esperti del maestro
Li I, 1974, Fotoincisione, 70x100, HR Giger
Stefania Briccola
23.11.2024 19:30

Una mostra al Mastio della Cittadella di Torino mette in scena l’universo di Hans Ruedi Giger che va oltre Alien, la sua creatura più famosa. Il mostro, che gli valse l’Oscar per gli effetti speciali del film di Ridley Scott, ha oscurato il talento multiforme e la vasta produzione dell’artista svizzero (Coira, 1940- Zurigo, 2014). A dieci anni dalla sua morte l’esposizione «Beyond Alien: H.R. Giger», nella città sabauda fino al 16 febbraio, celebra il maestro che ha mutato i contorni del surrealismo, le sembianze dell’horror fantascientifico e i confini dell’immaginario contemporaneo. In mostra a Torino ci sono oltre settanta pezzi originali fra dipinti, sculture, disegni, fotografie, oggetti di design e video provenienti dal Museo H. R. Giger a Gruyères e da collezioni private. Il percorso è suddiviso in varie sezioni: il cinema, la musica, il surrealismo e l’orrore cosmico.

Con l’extraterrestre xenomorfo, che esalta lo stile biomeccanico e comunica una sensazione tra il bello e il terribile, ci si inoltra nel mondo dell’artista svizzero amato da cineasti e cantanti. Marco Witzig, tra i massimi esperti del maestro, ci ha raccontato della sua passione smisurata per l’opera di Giger con il quale ha collaborato negli ultimi quindici anni della sua vita. Il curatore e critico d’arte zurighese ha una collezione unica che vanta alcuni pezzi ritrovati che si pensava fossero perduti. Non mancano gli aneddoti sui video con Debbie Harry, ma anche sul microfono per i Korn e la prima sedia per Dune, il film mai girato di Alejandro Jodorowsky.  

Come è stata ideata la mostra dedicata a Giger in corso a Torino?
«Era da tempo che volevamo fare una mostra in Italia su Giger ed è arrivato il momento giusto perché sono trascorsi dieci anni dalla morte dell’artista e di recente è uscito anche l’ultimo film della saga di Alien. L’esposizione, in collaborazione con il Museo nazionale del cinema, si tiene nel suggestivo Mastio della Cittadella di Torino e dà un’idea più completa del mondo di Giger con il meglio della sua produzione. Ci sono le fasi differenti del suo lavoro con i disegni degli anni Sessanta, il periodo di Alien e le opere degli anni Settanta. E non manca il rapporto con il cinema e con la musica. Si vedono pezzi provenienti dal Museo Giger e altre opere della mia collezione. Alla fine la mostra è un mix di sculture e quadri originali con alcune grafiche e riproduzioni». 

Giger è stato un incredibile disegnatore, un virtuoso dell’aerografo, un pittore, uno scultore e non solo. Che cosa rende unico questo artista? 
«Quello che faceva di lui un personaggio interessante è che non era solo uno scultore o un pittore o un designer, ma apparteneva a quella categoria rara di artisti che sono dei creatori di mondi. Giger aveva una visione chiara del suo universo e realizzava opere che ti consentivano di entrarci. Se si guardano le foto della sua casa, la si vede interamente coperta da quadri e dalle sue opere. È così anche il museo a Gruyères che gli addetti ai lavori criticano perché forse è troppo pieno, ma alla fine è unico e diverso».

Il museo HR Giger dà l’idea di un mondo parallelo. Sembra di entrare in un girone dantesco…
«Esatto, lo stesso succede anche nei bar che Giger ha realizzato non solo in Svizzera. Adesso ce ne sono ancora due: uno a Gruyères e l’altro a Coira. Entrando in questi locali si fa ingresso nel mondo di Giger». 

Ci può dire qualcosa dei bar che l’artista fece nel mondo?
«Giger aveva realizzato un bar a Tokyo, alla fine degli anni Ottanta, che poi è sparito con la crisi immobiliare agli inizi degli anni Novanta. Poi c’era un Giger bar a New York che oggi non c’è più. Invece nel sud della Cina hanno realizzato, nel 2017 circa, un bar intero, perfettamente copiato, senza nessuna autorizzazione, del quale si vedevano molte foto online. Volevo andare di persona a verificare, ma poi è arrivata la pandemia e il bar falso è scomparso».  

Quali pezzi in mostra a Torino sono più rappresentativi dell’universo gigeriano?
«Le sezioni coprono praticamente tutta la produzione di Giger. Tra i pezzi più iconici del cinema c’è il Necronom di Alien con i disegni e la prima sedia Harkonnen, di quarant’anni fa, e un modello del tavolo realizzato per il film Dune di Jodorowsky».

Dopo aver ricevuto l’Oscar nel 1980 Giger tenne due esposizioni a New York e a una di queste incontrò Debbie Harry che era affascinata dalla sua arte

Ci sono dei capitoli meno conosciuti dell’opera di Giger e sicuramente non meno intriganti come quello della musica. Che cosa troviamo in esposizione?
«C’è un modello originale del supporto del microfono realizzato negli anni Novanta per Jonathan Davis, leader dei Korn, la band nu metal californiana. Poi c’è la scultura bronzea della Nubian queen di quasi 2 metri di altezza. Un’opera che segue il successo inaspettato dell’oggetto d’uso».  

Come nacquero invece le copertine degli album e la maschera per Debbie Harry? 
«Dopo aver ricevuto l’Oscar nel 1980 Giger tenne due esposizioni a New York e a una di queste incontrò Debbie Harry che era affascinata dalla sua arte. Un po’ come successe con Ridley Scott che gli disse: ''Voglio che tu faccia il mostro del film Alien'', Debbie venne alla mostra e disse a Giger ''ciao, voglio che realizzi il mio prossimo video''. All’epoca era ancora tutto più immediato. Il video per il debutto da solista di Debbie Harry era una grande produzione e la cantante stette per due o tre mesi in Svizzera a casa di Giger. Per l’occasione nacquero dei pezzi speciali come la Maschera in metallo (1981) esposta in mostra. La copertina di KooKoo, con il volto della cantante trafitto da spilloni, venne censurata in Gran Bretagna. Un altro dettaglio è che la frontwoman dei Blondie da icona pop bionda platino divenne nera corvina. Chris Stein ha documentato in un libro, con foto e testi, la metamorfosi di Debbie Harry curata da Giger». 

Che rapporto c’era tra Giger e Debbie Harry?
«Loro due erano amici e rimasero tali fino alla morte dell’artista. L’ultima volta che Hans Ruedi andò a New York incontrò Debbie».

Che cosa può dire a proposito di Giger e le donne? 
«Giger amava le donne e la vita e trattava i temi che hanno maggiore impatto emotivo sulla gente, come  la morte, il dolore e il sesso. Le donne nelle sue opere appaiono come degli esseri divini, degli angeli o delle dee, mentre gli uomini sono o dei diavoli repellenti o dei poveri mutanti. A tutti quelli che dicono che Giger era sessista rispondo che lui ammirava le donne e le esaltava».

Che rapporto ebbe Giger con Li Tobler, sua prima moglie, scomparsa tragicamente e immortalata nel meraviglioso ritratto del 1974?
«Li e Hans Ruedi si sposarono giovani. Il loro era un grande amore, però tra i due c’era anche un rapporto difficile perché lei era psichicamente un po’ instabile. Negli anni Settanta la moglie Li influenzò alcuni dei quadri più famosi di Giger. Se si guardano bene le immagini femminili nei suoi ritratti corrispondono sempre alla partner del momento. Dopo Li Tobler ci fu, intorno al 1980, Mia Bonzanigo, la seconda moglie. Poi dalla fine degli anni Novanta i ritratti di Giger sono quasi tutti riferiti a Carmen Scheifele, la terza moglie e attuale direttrice del Museo a Gruyères. Ogni donna ha lasciato delle tracce nella sua arte».   

Che cosa può svelare della collaborazione di Giger con Jodorowski per Dune, il film leggendario mai girato?
«Alejandro Jodorowski, che viveva a Parigi, aveva ambizioni un po’ folli e voleva fare un film di 15 ore e lavorare con i Pink Floyd, Salvador Dalì, Orson Welles e altri. Riunì artisti molto innovativi negli anni Settanta come Mobieus, che ha fatto lo storyboard di Dune, e Giger. Jodorowski li aveva affascinati tutti, ma alla fine non poteva pagarli. Giger con i soldi guadagnati con Alien fece in seguito per conto suo le sedie harkonnen che aveva ideato per il film Dune».

  Dopo Alien ci sono stati tanti progetti di film, ma pochi sono stati realizzati  

A cosa è riconducibile la scultura dal titolo «Species» in resina, lattice e vetro?
«Dopo Alien ci sono stati tanti progetti di film, ma pochi sono stati realizzati. Giger negli anni Novanta per la saga di Species ha plasmato una bella donna, extraterrestre che poi si trasforma in un mostro. Alla fine il film fu un successo, ma Giger era piuttosto schivo e su Species, realizzato in California, non ebbe la stessa influenza che esercitò su Alien».

Come è nata la sua passione travolgente per l’universo di Giger?
«Mia mamma mi portava alle esposizioni come fanno solitamente i genitori e all’età di 12 anni vidi la prima retrospettiva di Giger al Centro Culturale Seedamm dove rimasi affascinato e quasi ipnotizzato nel vedere le sue opere».

Lei ha svolto anche un minuzioso lavoro di investigazione per trovare dei pezzi di Giger che si ritenevano perduti. Quale di questi vediamo a Torino?
«In mostra c’è un grande quadro iconico dal titolo Mutant che non era mai stato documentato e che per puro caso ho ritrovato in Svizzera. L’opera è riapparsa dieci anni fa quando è morto Giger».  

Quale progetto in mostra forse è meno conosciuto?   
«È bello trovare in mostra anche una storia pazzesca intitolata Il mistero del San Gottardo. Giger ha fatto uno storyboard intero dove ci sono dei mostri mutanti o robot biomeccanici che occupano il Gottardo e che attaccano la gente in una Svizzera distopica. È proprio un delirio alla Giger! Di quello ci sono i disegni, ma abbiamo anche le litografie originali. C’è un libro e un progetto di film mai realizzato». 

Quale era l’idea di cinema di Giger?
«L’artista era un grande fan del cinema del quale aveva anche una visione in 3D che si nota nei suoi quadri realizzati artigianalmente. Tanti effetti che oggi si vedono sul grande schermo sono resi a computer, mentre l’arte in 3D di Giger è stata realizzata cinquant’anni fa, prima che si parlasse di digitale».

Che tipo era Giger?
«Ho conosciuto Giger nel 2000 e negli ultimi anni della sua vita ho lavorato a stretto contatto con lui. Non si deve confondere la persona con la sua arte. Posso dire che il suo modo di esorcizzare gli incubi era quello di visualizzarli. Giger ha trasformato la paura in qualcosa che rivela anche un’eleganza estetica. Ad esempio lui era un grande fan di Michelle Pfeiffer e allo xenomorfo più famoso del cinema ha disegnato le sue labbra».

HR Giger. © Annie Bertram
HR Giger. © Annie Bertram