«Un'opera ispirata a Locarno, città di cinema, cultura e arte»
Viaggiare è un’arte. Perlomeno così sosteneva Tiziano Terzani in una delle sue più note citazioni. Ma ci sono casi dove è l’arte a essere un vero e proprio viaggio. Questo è certamente il caso di Luka Brase. Considerato uno dei più interessanti artisti contemporanei europei, il pittore slovacco è il fondatore del progetto «Art on the Way» nel quale, in luoghi inaspettati del mondo, porta la grande arte al pubblico, invitandola a vivere come un’esperienza immediata e personale, aprendo la mente verso culture, linguaggi e stili diversi.
Certo, la prossima tappa di Brase è tutt’altro che inaspettata: dallo scorso 4 ottobre, fino al 6 gennaio 2025, è infatti protagonista di una mostra personale allo storico Hotel Lucchesi nell’ambito del progetto «Gusto Visivo» di Keep Art Firenze.
Ma il viaggio dell’artista 41enne, con all’attivo oltre 30 personali in tutto il mondo in città come New York, Shanghai, Londra, Los Angeles e Pechino, prima del suo arrivo in Toscana ha avuto un passaggio molto significativo. Durante il Locarno Film Festival, è stato infatti scelto dall’Ambasciata della Repubblica Slovacca in Svizzera per la tradizionale Giornata della Diplomazia alla Magistrale dove si è esibito in una performance nella quale ha dato una sua personale visione di Locarno usando il suo caratteristico «disegno idiomatico».
«Con gesti rapidi e intensi provo a catturare l’essenza e le sensazioni trasmesse da un luogo – spiega Brase a La Domenica -. Sulle sponde del Verbano, in un fantastico mix tra natura e modernità, ho trovato un ambiente internazionale e attivo culturalmente che mi ha ispirato nell’usare molti colori. Ovviamente facendo risaltare il giallo e il nero tipici del Pardo. Sono stato lieto di aver donato la mia opera alla pasticceria Marnin, una delle attività storiche cittadine, in modo da creare un legame indissolubile con Locarno».
Dipingere di fronte a diplomatici e autorità, tra cui il Consigliere Federale Ignazio Cassis e il Ministro degli Esteri Italiano Antonio Tajani, trovando la giusta concentrazione, non dev’essere affatto scontato: «Grazie all’ambasciatore Alexander Micovcin e al centro culturale il Rivellino ho avuto la possibilità di rappresentare il mio Paese in uno dei principali festival cinematografici europei, è stata una grande emozione nonché un onore. Che però non hanno limitato in alcun modo la mia espressività ma anzi l’hanno completata e caricata di emozioni, rendendola ancora più immersiva. Ed è meraviglioso vedere che i presenti, da ovunque essi venissero, hanno apprezzato il mio lavoro, a dimostrazione di come l’arte sia un linguaggio universale». Probabilmente il più diplomatico linguaggio al mondo: ce ne sarebbe ancora più bisogno in quest’epoca di conflitti? «Sicuramente, perché è il modo più immediato per mostrare le nostre emozioni, qualsiasi sia il mezzo con cui la si crea. Me ne sono reso conto nei miei lunghi viaggi all’estero, dove ho avuto la possibilità di conoscere persone meravigliose nonostante a volte si presentassero barriere linguistiche all’apparenza insormontabili, che a volte ci impedivano di dialogare in modo convenzionale ma che, grazie a un pennello o qualche strumento tipico del posto, ci permetteva di capirci a vicenda. E l’arte è un mezzo così potente che, non a caso, è la prima cosa che viene repressa da chi cerca la guerra: perché ti apre la mente. E se hai la mente aperta non vedi nel prossimo un nemico bensì una persona, con la quale trovare un punto di incontro nelle emozioni e nelle visioni».
Le opere di Luka Brase in un certo senso sono molto cinematografiche, perfette per un contesto come quello del Locarno Film Festival. «Per un bel film serve un’idea, poi una sceneggiatura e, successivamente, si passa alla fase di produzione, di regia e all’interpretazione. Non è molto diverso dal mio modo di creare le opere. Solo che, anziché avere un regista, i cameramen e gli attori qui c’è solo il mio pennello e la mia creatività. Quando sono in un luogo passo lunghe ore a scoprire ogni angolo, lasciandomi ispirare dalle persone che passano e dagli eventi che vedo intorno a me. Poi li metto insieme e creo delle dinamiche che non solo creano una certa armonia d’insieme, ma che siano in grado di raccontare una storia a chi la osserva. D’altronde sono un grande appassionato di cinema indipendente: forse non è un caso che mi sia ritrovato proprio al Pardo».
Finito il Festival, com’è proseguito il viaggio verso Firenze? «Ho lasciato Locarno con un senso di bellezza incredibile. Sono rimasto estasiato dalle persone e da tutto ciò che ho vissuto in una città così piccola ma allo stesso tempo così piena di cultura. Grazie a questo entusiasmo sono riuscito ad affrontare al meglio delle settimane davvero intense tra New York e la Florida, dove sto realizzando alcuni progetti. Ma non vedo l’ora di arrivare in Toscana, una delle grandi culle dell’arte mondiale, che per molti artisti rappresenta un punto d’arrivo. Il mio viaggio però non è affatto finito. Anzi, ho ancora tanto mondo da scoprire, soprattutto in Ticino dove mi sono sentito a casa».