Billy Cobham e l’essenza della fusion
Se Mario Biondi è stata l’indiscussa stella della serata inaugurale di Estival Jazz, anche il secondo capitolo dell’edizione 2019 del festival luganese ha avuto un protagonista indiscusso: Billy Cobham. Il «Crosswinds Project» del batterista panamo-statunitense ha infatti spazzato via ogni possibile concorrenza e, soprattutto, confermato l’estrema vitalità di quello che è stato uno dei campioni assoluti della fusion e che ancora oggi, all’età di 75 anni, è ancora in grado di elargire lezioni a tutti. Certo il suo tocco non ha più la freschezza dei tempi d’oro (ci mancherebbe!) e anche il furore creativo che caratterizzava negli anni Settanta molte sue creazioni e interpretazioni non c’è più, sostituito però da un tocco raffinato e da una sapienza interpretativa che gioca più sulle sottrazioni che sulle addizioni, che cura ogni suono, ogni nota come se fosse l’unica e la più importante dell’intero universo sonoro. Un approccio che Cobham ha trasmesso anche ai suoi straordinari compagni di viaggio (tra i quali, oltre all’impeccabile Randy Brecker, una citazione speciale la meritano il tastierista Scott Tibbs e l’altro fiato, Paul Hanson) che hanno saputo imbastire un sound sì energico ma nello stesso tempo avvolgente, maturo che arriva all’ascoltatore davvero come un vento trasversale capace di avvolgerlo, rapirlo, ammaliarlo. Un concerto, quello di Cobham, intenso, coinvolgente che ha regalato anche una sorpresa conclusiva: un’incantevole versione della davisiana Seven Steps To Heaven che Cobham e soci hanno eseguito con due «guest» d’eccezione: Franco Ambrosetti e Bobby Watson.
Salire sul palcoscenico dopo siffatta performance sarebbe stato terribile ed impegnativo per chiunque. E venerdì sera lo è stato soprattutto per la giovane britannica Zara McFarlane che, a lunghi tratti, è apparsa davvero un pesce fuor d’acqua. Pur dotata di una bella voce, la ragazza ha infatti evidenziato una grande insicurezza scenica e, soprattutto, un repertorio decisamente modesto, fatto per lo più di pretenziose e eccessivamente complicate architetture compositive prive di appeal melodico e finalizzate quasi unicamente a glorificare il manierismo vanitoso dei suoi musicisti. Il risultato è stato un concerto a larghi tratti piatto, noioso che si è vivacizzato solo quando, in omaggio alle sue origini giamaicane, la McFarlane si è avventurata su sentieri «dub» (ma anche qui con composizioni invero modeste) o quando, nel finale, ha leggermente sterzato verso ritmiche più funky-soul che le hanno permesso di dare a fondo alla sua ugola. Troppo poco, tuttavia, per meritare la sufficienza e smorzare gli sbadigli.
Che invece se ne sono andati una volta entrata in scena l’ultima protagonista della serata, la carioca Mart’nalia. Pur bruttina e dotata di una voce decisamente sgraziata, la figlia di Martinho da Vila ha tuttavia conquistato il pubblico con una ricetta decisamente semplice: una grandiosa band di accompagnamento, ottime movenze sceniche e un repertorio ruffiano che, per andare sul sicuro, ha costruito raccogliendo le canzoni più famose scritte da Vinicius De Moraes. Che è come se un cantante italiano costruisse uno show pescando le migliori composizioni di Mogol, quindi attingendo ad un repertorio vastissimo che va da Mina a Battisti, dai Dik Dik a Cocciante, da Fausto Leali a Morandi. Un successo garantito, insomma. E così è stato, cosicché per oltre un’ora e mezza piazza della Riforma si è trasformata in una elegante pista da ballo su cui Mart’nalia ha rovesciato una cascata ininterrotta di hit che la comunità brasiliana presente ha cantato dalla prima all’ultima nota, che anche i non brasiliani in massima parte conoscono e che tutti, indistintamente, si sono ritrovati a ballare.
Stasera gran finale per Estival 2019 con la SMuM Big Band che con alcuni ospiti d’eccezione (Bobby Watson, Franco e Gianluca Ambrosetti) festeggerà i 25 anni della Scuola di Musica Moderna di Lugano (vedi intervista) cui verrà attribuito il Premio alla Carriera patrocinato dal nostro giornale; seguirà uno dei più celebri bassisti al mondo, Marcus Miller e il fantasioso e allegro patchanka sonoro degli spagnoli Patax.