Black Earth Rising, un viaggio interiore per capire il genocidio in Ruanda

Black Earth Rising è, senza troppe esagerazioni, una delle serie tivù dell’anno. Un lungo thriller in cui si intrecciano intrighi internazionali, colpi di scena e repentini cambiamenti di fronte. Le 8 puntate (andate in onda su BBC Two nel settembre del 2018 e poi trasmesse da Netflix a partire da gennaio di quest’anno) non mancheranno di appassionare coloro che hanno apprezzato film come Blood Diamond, Hotel Rwanda o L’Ultimo re di Scozia. La serie si concentra infatti attorno al personaggio di Kate Ashby (interpretato da Michaela Coel), giovane assistente legale londinese di origini ruandesi sfuggita nel 1993 al genocidio. E attraverso la scoperta del suo passato si ripercorrono anche le vicende che hanno portato alla guerra civile tra hutu e tutsi e allo sterminio di almeno 800.000 persone. Ma la serie affronta anche le responsabilità dei Governi occidentali (soprattutto della Francia, del Regno Unito e degli Stati Uniti, sottolineando pure le debolezze del Tribunale internazionale di giustizia dell’Aia) e del rapporto tra Africa e Europa. Tutto senza mai essere pesante. Anzi: senza essere affatto pesante. E probabilmente è proprio questa la forza di questo show - scritto e diretto da Hugo Blick (che interpreta anche il ruolo del perfido avvocato Blake Gaines) -, in grado di coinvolgere
Una menzione particolare a John Goodman, che in Black Earth Rising interpreta un avvocato americano (Michael Ennis) impegnato a perseguire i responsabili del genocidio ma che deve anche «assecondare» i voleri della Casa Bianca (che per il futuro del Ruanda ha un piano che non necessariamente coincide con quello della Giustizia).
