Grande schermo

Breve storia del lungometraggio

Un termine oggi obsoleto che designa un formato che per motivi diversi stentò ad imporsi nei primi decenni della storia del cinema
«Cabiria» di Giovanni Pastrone (1914), uno dei primi lungometraggi italiani.
Antonio Mariotti
29.01.2021 21:42

A livello lessicale il mondo del cinema sembra aver perso qualche colpo. È ad esempio ancora corrente l’uso del termine «pellicola» per designare i nuovi film, anche se da una decina d’anni a questa parte la celluloide ha lasciato il posto ai supporti digitali, se non sistematicamente in fase di ripresa perlomeno in quelle di postproduzione e di distribuzione delle opere nelle sale. Un’altra parola divenuta per molti versi obsoleta è «lungometraggio» (e quindi anche «cortometraggio» e «mediometraggio») poiché il riferimento è sempre il metraggio della suddetta pellicola che determinava fino a tempi recenti la classificazione delle opere. Si tratta di abitudini dure a morire, legate a unità di misura superate, ma che sopravvivono perché finora le alternative scarseggiano. Per coerenza oggi i film andrebbero classificati sulla base del volume dei file della loro versione finale, ma dire «ieri sera mi sono visto un bel film da 10 giga» risulta molto meno comprensibile che dire «ieri sera mi sono visto un bel lungometraggio».

Il cinema nasce senza una grammatica: sarà la tecnica del montaggio a fornirgliela

Questioni tecniche ma non solo

Tornando all’«obsoleto» lungometraggio, ci si potrebbe chiedere come mai esso non si sia imposto subito come il formato più corrente per le opere cinematografiche ma si sia dovuto attendere quasi un ventennio dopo la prima proiezione pubblica del Cinématographe dei fratelli Lumière nel 1895 affinché si affermasse su scala mondiale. Una questione non priva d’interesse, poiché mette in gioco diversi aspetti del nuovo mezzo espressivo. Prima di tutto quello tecnico: è assodato che lo «sfarfallio» delle immagini dei primi programmi dei Lumière rendesse fastidiosa la visione di film la cui durata superava i pochi minuti e solo negli anni successivi venne sviluppato un tipo di otturatore che ovvierà a questo problema. Non bisogna inoltre dimenticare che il cinema nasce privo di un linguaggio narrativo proprio e soltanto poco a poco i pionieri della «settima arte» sperimentarono tecniche come il montaggio, e in particolare il montaggio parallelo che rompe la cronologia della narrazione permettendo di raccontare una storia da punti di vista diversi creando la suspence, e quei «trucchi» che renderanno il cinema fonte di sorpresa e di risate per spettatori ancora poco abituati a questo tipo di esperienze.

L’avvento delle sale porta a un totale cambiamento del pubblico e quindi anche dell’offerta

Dalle fiere alle sale

C’è però anche un altro aspetto di cui tenere conto che è indissolubilmente legato alla storia del cinema fin dalle origini: la distribuzione delle pellicole. Il cinema nasce come fenomeno popolare, attrazione da fiera, ma quando verso gli anni Dieci del XX secolo iniziano ad aprire ovunque le prime sale, le case di produzione vengono messe sotto pressione. Se nelle fiere si poteva contare su un continuo ricambio di pubblico e quindi si potevano proiettare a lungo le stesse pellicole fino a «consumarle», la sala ha bisogno di fidelizzare il proprio pubblico e quindi necessita di un regolare ricambio dei programmi, perlomeno a scadenza settimanale. Inoltre le sale non possono accontentarsi degli spettatori appartenenti alle classi popolari che frequentavano le fiere, ma puntano anche al pubblico borghese, più colto e raffinato e quindi poco propenso a farsi ammaliare da brevi sketch comici o da affrettati quanto improbabili adattamenti di imponenti opere letterarie che non potevano superare i 15 minuti. Questa era infatti la durata che corrispondeva al metraggio di una bobina di pellicola. Fino al 1913 negli Stati Uniti un rigido regolamento imposto dal trust delle case di produzione non permetteva infatti ai suoi associati di distribuire più di un film alla settimana della durata massima di una bobina appunto. Ciò portò alla nascita dei «serial», antenati delle serie che oggi vanno per la maggiore sul piccolo schermo, film lunghi che venivano distribuiti a episodi di 15 minuti l’uno a scadenza settimanale.

Una sola bobina non basta più

A causa di questo regolamento legato a criteri di produzione ormai superati, il lungometraggio iniziò quindi a svilupparsi in Europa prima che oltreoceano. L’Italia si specializzò ad esempio in opere in costume di ambientazione storica e ispirazione letteraria, con titoli come L’Inferno, La Gerusalemme liberata o La caduta di Troia che aprirono la strada a Cabiria di Giovanni Pastrone (1914), la cui sceneggiatura venne attribuita a Gabriele D’Annunzio che in realtà si limitò a scrivere i testi delle didascalie. Opere queste che, insieme a lungometraggi di produzione danese e francese, ottennero un enorme successo negli USA. Un risultato che portò all’abolizione dell’assurda regola dei film da una bobina e aprì le porte a pietre miliari come The Birth of a Nation (1915) e Intolerance (1916) di D.W. Griffith, considerato il primo regista del cinema moderno. Da allora la stella del lungometraggio non è più tramontata.