Musica

Capossela: «Siete tutti invitati a un folle ballo in maschera»

Il cantautore inaugura giovedì sera la nuova edizione di «Castle On Air» a Bellinzona
Il nuovo album di Vinicio Capossela s’intitola «Ballate per uomini e bestie».
Michele Sedili
24.07.2019 06:00

Uno spettacolo unico: questo ha in programma Vinicio Capossela per la sua esibizione di domani, giovedì 25, al Castelgrande di Bellinzona che inaugurerà l’edizione 2019 di Castle On Air. Manifestazione quest’anno interamente dedicata alla musica italiana, che vedrà poi sfilare sul palco Elisa (venerdì 26), i Måneskin (sabato 27) e il duo Raf-Umberto Tozzi (domenica 28). Il cantautore italiano sta promuovendo Ballate per uomini e bestie, il nuovo album che in autunno lo vedrà protagonista di un tour teatrale, anticipato da una serie di concerti concepiti appositamente per luoghi specifici, tra cui appunto il Castelgrande. Prevendite su www.mediatickets.ch e www.ticketcorner.ch.

Questo suo album guarda a una sorta di nuovo medioevo. In che modo?

«Ci sono allegorie medievali che in maniera immaginifica descrivono l’epoca corrente: un medioevo post contemporaneo e iper tecnologico. Per esempio la peste. Certi meccanismi che la pestilenza attiva sono molto attuali, soprattutto negli strumenti di comunicazione: perdita dei vincoli sociali, diffusione di false credenze, recessione della compassione, linciaggi, alibi inconsci quasi a colmare un senso di angoscia e vuoto esistenziale. Invocazione della croce non per principio di carità, ma di appartenenza. Una specie di pandemico individualismo collettivo».

Perché la scelta della ballata?

«La ballata evoca qualcosa di antico che non sta fermo e che procede come un viandante. Dai trovatori a De André, la ballata non si fa il problema della durata per raccontare una storia, procede fino a che non ha cantato tutto ciò che voleva dire. È una forma che privilegia il lavoro sulla lingua ma non trascura la musicalità».

Alcuni testi sono dei riadattamenti di scrittori come Oscar Wilde e John Keats...

«La ballata del carcere di Reading di Wilde è uno straordinario atto di denuncia della pena di morte, della perdita dei vincoli umani, un grido a difesa della compassione, della sofferenza che affratella. Come scriveva Wilde, Cristo non è venuto a salvarci ma a insegnare a salvarsi l’un l’altro. La ballata di Keats è la trasposizione in un mondo fiabesco di una cosa sempre attuale come l’incantamento di Morte che è nella seduzione amorosa. Le paralisi dell’attesa e della bellezza sono sempre vive nell’animo umano».

Il povero Cristo è il singolo che ha anticipato questo album. Ce lo può raccontare?

«È una vera e propria ballata. Racconta del Cristo del vangelo che scende dalla croce, si avvia tra gli uomini e sperimenta quanto sia impossibile per l’uomo applicare il principio della sua buona novella: ama il prossimo tuo come te stesso. A quel punto egli stesso diventa “povero Cristo”, proprio come l’uomo reietto sulla terra. Torna sulla croce e tace per sempre mentre l’uomo grida a più non posso. Per accompagnare la canzone abbiamo girato con Daniele Ciprì un clip a Riace, luogo in cui la buona novella è stata tentata e negata, con Enrique Irazoqui, che nel ‘64 interpretò il Cristo del vangelo di Pasolini e con Marcello Fonte».

Nel disco compaiono molte creature. Com’è il rapporto tra uomo e bestia?

«La bestialità è spesso riferita agli uomini stessi, quando la cultura recede e si torna alla legge del più forte, al “mors tua vita mea” e alla legge del più votato imposta per giustizia. Ci sono gli animali che una volta dividevano lo spazio domestico con l’uomo, quelli della storia dei musicanti di Brema o il maiale che fa testamento. Poi le bestie come finestra di accesso alla natura, della pulsione, dell’istinto: il licantropo e la sua corsa a ritroso verso l’origine. L’insegnamento della sacralità cosmica della lumaca. Gli animali ci arrivano spesso come simboli, ma a guardarli in faccia rinnovano l’enigma della loro perfezione a cui l’uomo ha sempre guardato».

Al momento è impegnato in una serie di concerti-atti unici concepiti per luoghi specifici. Cosa ci si potrà aspettare dalla serata di domani a Castelgrande?

«Il luogo è adattissimo: un castello. Terremo un gran ballo in maschera come nelle feste di corte, perché la maschera ci rivela spesso più che la nudità. Ci sarà da ballare con i nostri demoni e con le nostre bestie. Partiremo dall’inizio, dall’Uro, proprio nei pressi del canton Uri, e andremo avanti tirando in mezzo santi e demoni, protettori e tentatori».

A livello musicale come ha sviluppato questo album?

«Cerco di dividere la musica con musicisti a me affini. Questo disco ha goduto della collaborazione di artisti che stimo e che hanno contribuito a dare forma alle canzoni: Teho Teardo, Daniele Sepe, Raffele Tiseo, Stefano Nanni, Massimo Zamboni, Alessandro Stefana, Marc Ribot e un’orchestra sinfonica, specialisti di strumenti antichi. Diversi di loro partecipano anche ad alcuni concerti, ma portarli tutti sarebbe impossibile».

Ballate per uomini e bestie, nella settimana in cui è uscito, è stato al primo posto dei vinili più venduti in Italia...

«Il vinile è attualmente l’unica forma rimasta di supporto fisico, considerato che i nuovi dispositivi non hanno più il lettore cd. La musica liquida rende l’opera priva di abiti. Io trovo importante darle un vestito e una casa. Per esempio questo disco ha una bellissima edizione in cd e un libro dei testi che sembra un codice medievale contemporaneo, frutto del genio di Jacopo Leone. La musica è qualcosa di non materico, ma se si concepisce il disco come un’opera è importante che abbia una forma fisica».