Chiesa cattolica, quale futuro? «Non è più il tempo delle élite»
Il cardinale maltese Mario Grech, segretario generale del sinodo per una Chiesa più sinodale, è stato nei primi giorni della settimana in Svizzera - su invito della Conferenza dei vescovi - per una serie di incontri. Il Corriere del Ticino lo ha intervistato.
Eminenza, in un mondo squassato da guerre e conflitti la Chiesa si interroga sul proprio futuro parlando di sinodalità. Che cosa significa, in concreto?
«Le guerre ed i conflitti confermano quanto abbiamo bisogno di imparare a camminare insieme. Una Chiesa sinodale è un vessillo innalzato tra le nazioni che seminano la morte! Una Chiesa sinodale significa camminare insieme per ascoltarci. E quando dico ascoltarci, non mi riferisco soltanto allo scambio di opinioni ma a qualcosa di impegnativo. Per chi crede, ciascuno di noi è un tempio dello Spirito Santo. Tutti i battezzati hanno ricevuto questo dono, ma spetta a noi a farlo vivo nel mondo di oggi. Quindi, non solo camminare insieme ma ascoltarsi l’un l’altro. Nella Chiesa dell’ascolto i vescovi sentono il popolo di Dio e pure Pietro ha bisogno di ascoltare».
Una Chiesa meno verticale, meno gerarchica, su cui il Papa argentino ha insistito sin dal primo giorno del suo pontificato.
«Francesco arriva con un bagaglio di esperienza molto forte in questo senso. In America Latina hanno una marcia in più quando si parla di sinodalità, la “Teologia del popolo di Dio” è centrale per l’ecclesiologia latinoamericana, lì la gerarchia è al servizio del popolo di Dio».
Ma secondo lei, qual è il significato più autentico del sinodo, così come lo ha voluto il Papa?
«Il Santo Padre è convinto che la via per la Chiesa del futuro sia quella sinodale: tutto il popolo di Dio deve riuscire a trovare il modo di camminare insieme perché porta come ricchezza la presenza dello Spirito Santo, e soltanto tutti insieme saremo in grado di discernerne la voce».
Esiste, secondo lei, un rischio di trasformare il sinodo in una discussione di “politica ecclesiale” mettendo magari al centro del dibattito questioni controverse come il celibato dei sacerdoti o la benedizione delle coppie omosessuali?
«Non parlerei di “politica”, stiamo piuttosto affrontando le questioni che riguardano la vita del popolo di Dio. La riflessione sul sacerdozio o sui vari stati di vita è la realtà, che sta cercando risposte alla luce della parola di Dio. Abbiamo bisogno prima di tutto di riconoscerci come comunità che cammina insieme. Una volta che la Chiesa riuscirà a maturarsi in questa nuova cultura sinodale, sono convinto che saremo in grado di rispondere a domande esistenziali».
Forse è anche un modo per evitare che il sinodo appaia troppo distante dalla realtà o dia l’impressione di una Chiesa che discute di sé stessa senza incidere sulla vita delle persone o anche soltanto dei fedeli cattolici.
«Sarebbe un errore se il sinodo coinvolgesse soltanto le élite, i teologi o i vescovi. Questa è una delle svolte di Francesco. In passato, il sinodo era un evento riservato ai vescovi. Stavolta si è aperto alla partecipazione di tutta la Chiesa. Nella prima fase c’è stato l’ascolto del popolo di Dio, in particolare di chi sta nelle periferie del mondo. Sono arrivate molte risposte e richiami, vuol dire che c’è la volontà di camminare insieme e di cercare un responso dal Vangelo. Diversamente, questo percorso non avrebbe avuto senso».
A chi guarda dall’esterno, però, resta sempre il dubbio che ci siano molte e diverse Chiese, le quali talvolta faticano a trovare una sintesi.
«La Chiesa universale è parte dalle Chiese locali: sarebbe sbagliato immaginare l’esistenza da una parte della Chiesa universale e dall’altra parte delle Chiese particolari. Non è così: dalle Chiese particolari nasce la Chiesa universale, questo è l’insegnamento del Concilio Vaticano II e della costituzione Lumen gentium».
Ma prese di posizione differenti, accenti critici sulle stesse scelte del Papa - penso ad esempio a quanto detto dai vescovi africani sulla benedizione delle coppie gay o al conservatorismo evidente di parte del clero nordamericano - mostrano una Chiesa diversa tra Paesi e tra Continenti. Il sinodo serve a restituire alla Chiesa maggiore unità o a capire l’importanza, senza averne paura, delle differenze?
«Quando parliamo di unità, di comunione, non ci stiamo riferendo all’uniformità del pensiero. C’è unità nelle differenze, ci sono punti comuni e spazi diversi per le varie esperienze, secondo il “luogo”. Il 14 marzo scorso abbiamo pubblicato un nuovo documento con cinque prospettive teologiche, cinque tematiche che vogliamo affidare a commissioni interne in vista dell’assemblea generale della seconda sessione. Il quinto di questi punti si intitola “Il luogo della Chiesa sinodale in missione”. È chiaro che il “locus” è un tema di importanza decisiva, perché parlare di fede in Europa o in Oceania è diverso. Ma il “locus” è pure un luogo teologico. Personalmente, immagino sempre la Chiesa come un arcobaleno, con i colori che non si escludono ma, insieme, creano armonia. Un’armonia che, ovviamente, dove ci fosse un conflitto mancherebbe».
Quali sono stati i risultati più importanti della prima sessione del sinodo? E che cosa si aspetta dalla seconda sessione, che si concluderà alla fine di ottobre?
«Il sinodo per la prima volta si svolge in due sessioni. Dopo l’assemblea dell’ottobre 2023, in una relazione di sintesi sono stati riassunti tutti i punti discussi. La cosa nuova è che il Santo Padre ha individuato, nella stessa relazione, dieci tematiche e le ha affidate a gruppi inter-dicasteriali chiedendo di avere ulteriori risposte. In passato l’esortazione era sempre post-sinodale, ma così facendo Francesco ha dimostrato ancora una volta di essere in ascolto».
Di quali temi stiamo parlando?
«Sono questioni che trattano gli aspetti della vita della Chiesa in cammino, ma anche il rapporto con la società che cambia: la dimensione ecumenica, i criteri per la scelta dei vescovi, la missione dei nunzi apostolici nelle Chiese nazionali; ma anche il diaconato femminile o il tema dei poveri, che vanno ascoltati perché contribuiscono alla teologia non soltanto per l’aspetto caritativo ma per le cose che hanno da dire».
Il diaconato femminile è una delle questioni di cui si discute da moltissimo tempo, per la Chiesa sarebbe una rivoluzione.
«Non uso termini come rivoluzione. Il diaconato femminile e un diverso spazio per la donna nella Chiesa sono un naturale approfondimento della volontà del Signore, esprimono e dimostrano il dinamismo insito nella storia della Chiesa».
Eminenza, i dati delle presenze nelle chiese cattoliche in Europa sono in calo. Che cosa ha nociuto di più in questi ultimi anni? Gli scandali degli abusi? Il clericalismo, come dice papa Francesco?
«La riflessione autoreferenziale uccide. Io capisco il Santo Padre quando ci orienta ad aprirci per essere in grado di accogliere i semi pieni di speranza provenienti dalla Chiesa ma non soltanto, anche dal dialogo con le altre religioni. È una sfida: mentre custodiamo la nostra identità cristiana e cattolica, non possiamo escludere di camminare con gli altri. Sugli abusi dico che siamo peccatori e che la Chiesa è vulnerabile. Sono convinto che faccia bene riconoscere la nostra vulnerabilità e prendere le misure per sanare gli errori».
Pensa che l’esito finale del sinodo possa cambiare anche la Chiesa in Svizzera? E come?
«Paradossalmente, in Svizzera il discorso della sinodalità non è una novità assoluta: le tre realtà culturali e linguistiche dentro la Chiesa hanno camminato e continuano a camminare insieme, e credo possano imparare a farlo ancora meglio. Sono una Chiesa. E poi la Confederazione ha una lunga e solida tradizione esperenziale di democrazia. In questo Paese, l’ascolto di tutti è fondamentale. Dico ciò non perché la Chiesa sia democratica, al contrario è costitutivamente gerarchica, ma perché tende a una sempre maggiore sinodalità. Un impegno che, credo, sia già nel DNA della Chiesa svizzera».
Le faccio un’ultima domanda. Da cittadino maltese, prima ancora che da vescovo e cardinale, come guarda a quanto accade nel Mediterraneo, dove migliaia di persone muoiono in mare spesso nell’indifferenza e nel disinteresse di chi, invece, dovrebbe fare qualcosa per salvarli?
«Quanto accade nel Mediterraneo è vergognoso; è vergognoso che l’Europa e gran parte del mondo politico chiudano gli occhi e il cuore di fronte a questo dramma umano. Anche noi come Chiesa abbiamo da vergognarci, nonostante ci siano belle pagine di comunità e parroci che accolgono i migranti. Dobbiamo lavorare nella direzione di una convivenza umana, aiutare la società in questo, aprire il cuore alle persone che fuggono nella speranza di poter vivere una vita migliore e più dignitosa».