L'intervista esclusiva

Alain Berset: «Questo Festival è un diamante che brilla in tutta la Svizzera»

A tu per tu con il presidente della Confederazione, praticamente di casa a Locarno – «A Solari e al Festival auguro la stessa cosa: una lunga vita e molta felicità»
Il presidente della Confederazione Alain Berset a colloquio con il direttore del Corriere del Ticino Paride Pelli. © CdT/Gabriele Putzu
Paride Pelli
04.08.2023 06:00

Alain Berset a Locarno è praticamente di casa. Passeggiando per le vie della città vecchia con il suo panama, non passa certo inosservato. Non a caso, è il consigliere federale più popolare, e malgrado abbia già annunciato di non voler sollecitare un nuovo mandato il prossimo mese di dicembre, l’attuale «ministro» dell’Interno e della Cultura ha fatto sapere che al Festival tornerà, proprio perché per lui Locarno è una tappa imperdibile dell’estate.

Signor presidente, sappiamo che lei è un appassionato di cinema e un amante di Locarno. Per cominciare, le chiedo: che cosa rappresenta per lei Locarno?
«Devo dire che la mia famiglia ha un legame diretto con il Ticino, dove da piccolo venivo in vacanza, soprattutto a Bellinzona. Sono stati poi lo sport e la cultura a portarmi in Ticino. La prima volta che sono venuto a Locarno per il Festival era nel 1996. Conservo di questo momento un ottimo ricordo. Negli anni seguenti, è stato un grande privilegio poter tornare nelle vesti di consigliere federale. Anche in futuro, evidentemente, tornerò».

In effetti, ha concluso il suo discorso d’inaugurazione con un arrivederci…
«Certo. Questa è la mia ultima edizione come consigliere federale, ma non come amante del cinema e del Ticino…».

Qual è il ricordo più forte che conserva di Locarno in questi anni?
«Mi piace ricordare l’amicizia con Marco Solari. Nonostante una certa differenza di età, il fatto di aver potuto lavorare con lui mi ha permesso di vedere la sua incrollabile passione per il Festival, per la cultura e per il Ticino. Il primo ricordo mi riporta chiaramente in Piazza Grande, nel momento in cui ho scoperto la forza di questa città. La piazza è senza dubbio un elemento distintivo, che caratterizza il Festival e ne incarna l’identità. Ho poi un ricordo più intimo, legato a un’esperienza privata, ossia il fatto di averlo frequentato con i miei figli».

C’è un film che l’ha segnata particolarmente?
«Non sono uno specialista. Mi considero un semplice amante della settima arte. Sono tanti i film che ho apprezzato a Locarno. Ricordo, per esempio, la pellicola di Lionel Baier, Les grandes ondes uscita qualche anno fa. L’ultimo film di Tarantino, Once Upon a Time...in Hollywood, è stato un momento eccellente. In generale, credo che la vera esperienza sia essere immersi nel film, nella piazza e, sotto le stelle, nell’universo».

Signor presidente, come giudica lo sviluppo di Locarno Film Festival negli ultimi vent’anni? Che livello è stato raggiunto sotto la presidenza di Marco Solari?
«Il Festival ha raggiunto un livello di eccellenza importante, non a caso la Confederazione è sempre stata una fedele sostenitrice della manifestazione. Tutto, però, è molto fragile. Credo anche che questo sviluppo fosse invitabile. Il Festival, va detto, è stato in grado di migliorare il proprio livello e di svilupparsi. Ma - ripeto - tutto è molto fragile. Oggi la manifestazione è un diamante per il Ticino e la Svizzera. Non un diamante grezzo, ma un diamante finito. Ora, però, si tratta di capire come proseguire su questa strada, come alimentare lo sviluppo per resistere alla inevitabile concorrenza degli altri festival. Una concorrenza che è grande e che richiede molta perseveranza».

Che cosa manca alla manifestazione per arrivare a essere un festival di livello mondiale? Crede che sia necessario compiere un ulteriore passo?
«È difficile. Occorre crescere senza tuttavia perdere il legame con il territorio e la popolazione. Locarno ha infatti qualcosa di unico rispetto alle altre kermesse: il fatto di essere un festival popolare, un festival che ogni sera riunisce nella piazza oltre settemila spettatori.  Ma, nello stesso tempo, è capace anche di fornire qualità. Ecco, questa è la vera essenza di Locarno Film Festival: qualità e popolarità. Per questo motivo non bisogna dimenticare che occorre continuare a coltivare la presenza del mercato del cinema, degli attori e delle squadre. Per fare tutto ciò servono anche le infrastrutture turistiche. Ma in Ticino siete ben attrezzati».

Poco fa ha fatto riferimento all’importanza del legame del Festival con il territorio. Ora sappiamo che, con la partenza di Solari e l’arrivo della signora Hoffmann non ci sarà più un ticinese alla guida del Festival. Che cosa pensa di questo importante cambiamento?
«Nella mia situazione è difficile giudicare. Anche perché la nuova presidente entrerà in carica quando io non sarò più consigliere federale. Va poi detto che non è certo la prima volta che il Festival vive un cambiamento alla presidenza. Anche se, è vero, in questo caso è diverso, perché Solari è alla testa del Festival da 23 anni. È una generazione intera, e quindi un cambiamento importante. Ma penso anche che la presidenza non fa tutto. In ogni caso, come presidente presente e molto forte Solari non è rimpiazzabile. Al Festival serviva quindi un cambio di paradigma. Un altro modello da sviluppare».

Conosce personalmente la signora Hoffmann?
«L’ho incontrata ad Arles qualche anno fa. Nel mio ruolo resto comunque molto prudente nel commentare la nomina. Non è ruolo del Consiglio federale nominare il presidente o i direttori artistici. La Confederazione ha quale compito accompagnare il Festival. E, a noi, ciò che importa è la qualità della manifestazione. Sarebbe dunque indelicato commentare una scelta che appartiene solo al Festival».

Auspica che il suo successore sarà amico del Festival e del Ticino quanto lo è lei?
«La politica culturale della Confederazione è molto importante. Certo, ci sono le politiche sanitarie e sociali che hanno un’importanza immensa. Ma la politica culturale è altrettanto importante. Io ho voluto mettere un accento forte sulla cultura perché è un mondo che mi interessa particolarmente. Mi interessava prima di entrare in politica e continuerà a interessarmi anche dopo. Sono riuscito a sviluppare una politica culturale sul piano nazionale, che in passato era inesistente. E quindi sì, auspico che ciò possa proseguire. Ma gli accenti che verranno messi dal mio successore non mi appartengono».

Lei, in ogni caso, resterà amico del Festival?
«Certamente. Mi vedrete ancora da queste parti».

Locarno non ha come vocazione primaria sviluppare il cinema svizzero. Ci sono altri festival che lo fanno molto bene, ad esempio Soletta. Locarno ha una vocazione diversa, più internazionale

Oggi il Festival riceve un cospicuo finanziamento da parte della Confederazione. Quale importanza ha il Festival per sviluppare il cinema svizzero?
«Locarno non ha come vocazione primaria sviluppare il cinema svizzero. Ci sono altri festival che lo fanno molto bene, ad esempio Soletta. Locarno ha una vocazione diversa, più internazionale. Anche se spesso vengono proiettati film svizzeri. Ed è un piacere per i cineasti svizzeri poter mostrare i propri film a Locarno. Poi, naturalmente, Locarno come capofila indiscutibile dei festival in Svizzera ha anche un ruolo da giocare. È un festival molto osservato. E se Locarno si interessa del cinema svizzero, avrà un effetto su tutti gli altri festival. Penso sia giusto seguire la linea tracciata finora, trovando il giusto equilibrio. Sul piano politico, il nostro ruolo è invece creare le condizioni necessarie al cinema svizzero per poter fare un buon lavoro».

Viviamo un’epoca di grandi divisioni. Pensiamo solo alla pandemia. Che cosa deve fare la cultura per unire di più le persone?
«La sua è una domanda essenziale. In Svizzera abbiamo spesso la tendenza a definirci in maniera negativa. Detto altrimenti: non riusciamo sempre a dire chi siamo, ma più facilmente riusciamo a dire chi non siamo; non siamo francesi, non siamo italiani, non siamo tedeschi, non siamo membri dell’UE o membri della NATO. Ma ciò non è sufficiente. Oltre a ciò, dobbiamo trovare pure un elemento positivo che ci unisca. E questo elemento è immancabilmente legato alla cultura. È la nostra identità. Quando ci definiamo in maniera positiva? Ad esempio, quando siamo in vacanza e qualcuno nota che parliamo quattro lingue. Ciò è vero soprattutto per i ticinesi. Ci definiamo quindi anche attraverso il plurilinguismo. E siamo fieri di ciò. È una questione identitaria. E chi riesce a tematizzare al meglio la nostra identità: la cultura. Non è un caso se le autorità federali e il popolo hanno deciso nel 1958 di mettere un articolo dedicato al cinema nella Costituzione. Ci siamo resi conto che il cinema è uno strumento molto potente di definizione dell’identità. Abbiamo quindi un interesse, nella definizione dell’identità del Paese, a sostenere il cinema. Ma ciò vale anche per la letteratura, per la musica e per l’arte in generale. Sono elementi della nostra identità che ci aiutano a capire chi siamo. E non è un caso se il discorso del 1. agosto l’ho fatto davanti a un’opera d’arte».

Il 1. agosto serve anche per unire la Svizzera. È un momento importante. Resta però l’impressione che il Paese sia un po’ diviso...
«Pensiamo al COVID. In Ticino siete stati i primi ad essere colpiti dal virus, anche in maniera brutale. Ero a Berna, in contatto con le autorità ticinesi.  Con alcuni vostri consiglieri di Stato parlavo al telefono dieci volte al giorno. Per capire che cosa succedeva qui. E per spiegarlo a Berna. Il Ticino ha protetto il resto della Svizzera. Siamo molto consapevoli di ciò. E sì, ci sono state queste divisioni, legate all’incertezze del momento. In ogni situazione di crisi e di incertezza, è normale che il nervosismo cresca. Credo che queste divisioni non vadano sottostimate. Ma, soprattutto, penso siano state molto meno profonde di quanto potessimo inizialmente credere. Si pensi alla prima votazione sulla Legge COVID 2021: leggendo i media svizzero-tedeschi sembrava avremmo nettamente perso la votazione. In realtà, è stato vero il contrario. Ma è comprensibile: le persone contente non lo fanno notare, coloro che invece non sono contenti si fanno sentire di più».

Che cosa augura al Festival? E che cosa augura, invece, a Marco Solari?
«A Solari e al Festival auguro la stessa cosa: una lunga vita e molta felicità. Sono le cose più importanti. Vale per il Festival, vale per tutti noi e anche per Marco. È stato un privilegio lavorare con lui».

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