Angelo Duro: sgradevole, cinico ma di successo
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Più di sette milioni di euro incassati in Italia (dove è il decimo maggiore incasso della stagione 2024/2025, da agosto a oggi), più di 2.000 spettatori nelle sale ticinesi (dove ha battuto Cortina Express con Lillo e Christian De Sica e Io e te dobbiamo parlare con Alessandro Siani e Leonardo Pieraccioni). Sono soprattutto i giovani a fiondarsi al cinema per vedere Io sono la fine del mondo, il lungometraggio che reca la firma di Gennaro Nunziante (già collaboratore di Checco Zalone e poi, con meno successo, di Fabio Rovazzi e del duo Pio & Amedeo), ma è a tutti gli effetti la creatura del suo protagonista, cosceneggiatore e comontatore: Angelo Duro, palermitano, classe 1982, esponente di una comicità che non cerca il consenso entusiasta del pubblico. Eppure lo attira, il pubblico: quando chi vi scrive è andato a vedere il film, al CineStar di Lugano, l’unica fila con posti ancora liberi era la prima. L’effetto di una popolarità che Duro si è costruito negli anni, prima come inviato de Le Iene (dal 2009 al 2015) e poi sul palco come stand-up comedian, con quattro spettacoli e un monologo recitato durante il Festival di Sanremo nel 2023.
Ed è quella popolarità che ha consentito a Duro - e Vision Distribution, che ha portato il film al cinema in Italia - di puntare su una campagna promozionale anomala: a parte il trailer e qualche spot televisivo, non c’è stata l’attività stampa tradizionale, nemmeno la consueta anteprima per i critici (che l’hanno quindi visto con il pubblico pagante). Il grosso del lavoro l’hanno fatto i social e il passaparola, più alcune presentazioni in sala da parte del comico nella natia Sicilia. Una tattica simile non si vedeva dai tempi di Tolo Tolo, che arrivò sugli schermi preceduto solo da un video musicale che nulla lasciava intuire della trama. Ma in quel caso era una strategia che il suo protagonista, Checco Zalone, poteva permettersi perché era il quinto capitolo di un’avventura cinematografica fatta di straordinari successi al botteghino. E l’irriverenza di Duro continua, come dimostrato negli scorsi giorni dalla sua decisione di comprare una pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera e poi scrivere che non ne aveva bisogno e che l’ha acquistata affinché potessero disegnarci sopra i figli dei lettori.
Prima di Io sono la fine del mondo, al cinema Angelo Duro lo avevamo già visto in un ruolo secondario in Tiramisù, l’esordio alla regia di Fabio De Luigi, dove interpretava il cinico fratello della protagonista femminile. Ma è nel nuovo film, fatto a misura per la maschera comica che si è creato, che si può finalmente muovere con assoluta libertà, raggiungendo quel target giovanile che è riuscito a conquistare con un personaggio che piace proprio in quanto sgradevole: cinico e inespressivo, inveisce contro tutto e tutti, senza mai lasciar trapelare nemmeno un filo di umanità (nei primi minuti del film, stufo perché la figlia neonata della vicina continua a piangere, dice alla madre: «Vuoi che arrivi a un anno?»). L’evoluzione, forse logica e inevitabile, di un tipo di figura che c’era già in ambito comico, in tempi recenti, sia a livello teatrale sia sul piccolo schermo (basti pensare a serie americane come Seinfeld, Arrested Development e It’s Always Sunny in Philadelphia), ma quasi sempre con un minimo di qualità redentive che la persona umoristica di Duro ha completamente eliminato: lui non vuole essere amico di nessuno e per chiunque incroci la sua strada è effettivamente, come da titolo, la fine del mondo. E forse è ciò che piace maggiormente alla gioventù odierna, le cui prospettive per il futuro non sono esattamente rosee…