Benvenuti nel mondo colorato, vivace e satirico di Barbie
Nel 1997 la Mattel fece causa alla casa discografica che aveva portato negli Stati Uniti la canzone Barbie Girl del gruppo danese Aqua, poiché il brano, con il suo testo pieno di allusioni sessuali, era ritenuto lesivo nei confronti dell’immagine della bambola più famosa del mondo. Quasi vent’anni dopo, l’azienda ha palesemente cambiato idea per quanto riguarda un approccio parodistico, come dimostra anche una scelta molto precisa nei titoli di coda di Barbie, la nuova commedia estiva targata Warner Bros.: l’opera degli Aqua è parzialmente inclusa nella nuova composizione Barbie World, a firma di Nicki Minaj – cantante che ha sempre usato Barbie a livello iconografico – in collaborazione con Ice Spice.
L’approccio sovversivo è evidente sin dalla sequenza d’apertura, una parodia di 2001: Odissea nello spazio che è anche stata usata come primo trailer del film, dove la narratrice (Helen Mirren in inglese) spiega come Barbie abbia rivoluzionato la vita delle bambine in tutto il mondo, risolvendo tutte le problematiche sollevate dal movimento femminista e rendendo la società migliore. O almeno così pensano le Barbie, che vivono in un mondo tutto loro, Barbieland. In questo contesto utopistico, le varie bambole occupano tutte le posizioni importanti, mentre i Ken si limitano sostanzialmente a fare i bellocci in giro per strada e in spiaggia (e poi c’è il povero Allan, interpretato da Michael Cera, esemplare unico che non ha veramente nulla da fare da mattina a sera). Il modo in cui le bambine giocano con le bambole nel mondo reale influisce sulle personalità degli abitanti di Barbieland e un giorno la Barbie Stereotipata (Margot Robbie) scopre di avere pensieri sulla morte. Determinata a capire cosa le sia successo, si reca in California, dove scopre che le donne non hanno risolto tutti i loro problemi e le nuove generazioni non amano particolarmente le classiche bambole della Mattel. Con lei c’è anche uno dei Ken (Ryan Gosling) che, dal canto suo, decide di trovare il modo per farsi valere come individuo a sé e non più il banale comprimario privo di identità al di fuori dell’esistenza al fianco di Barbie.
I tentativi di portare questo universo sullo schermo con attori in carne e ossa sono stati numerosi: prima ci si era messa la Universal, poi la Sony – quest’ultima con opzioni che contemplavano nel ruolo principale o Amy Schumer (una scelta preventivamente contestata in rete per la presunta discrepanza fisica tra l’attrice comica e l’immagine tradizionale di Barbie) o Anne Hathaway – per poi arrivare, infine, alla Warner. Con loro il progetto è finito nelle mani di Margot Robbie, anche produttrice e della regista Greta Gerwig (coadiuvata dal compagno Noah Baumbach in sede di scrittura), in ascesa dopo il successo di Lady Bird e Piccole donne. Insieme hanno concepito un mondo colorato, vivace e satirico, non dissimile da un’altra operazione Warner, una decina d’anni fa, con i Lego (non a caso, Will Ferrell appare in entrambi i progetti, con un ruolo abbastanza simile da un film all’altro). Un mondo che conosce, ama e rispetta la storia di Barbie, ma non esita a metterla alla berlina allo stesso tempo: la reputazione non stellare del marchio al giorno d’oggi è parte integrante della trama e non mancano le gag su alcune delle vere scelte commerciali più discutibili della Mattel (in primis la figura di Midge, finita nel dimenticatoio perché nessuno voleva comprare una bambola che rappresentava una donna incinta, interpretata nel film, molto simbolicamente, da Emerald Fennell, la regista di Una donna promettente).
È un film dall’evidente afflato femminista, ma anche una commedia a base di pari opportunità, dove il personaggio con l’arco narrativo più divertente e completo è Ken, affidato a un Ryan Gosling che, pur non avendo mai disdegnato la commedia in passato (come, ad esempio, in The Nice Guys al fianco di Russell Crowe), qui dà sfogo a un lato demenziale davvero irresistibile, incarnando alla perfezione un sedicente maschio alfa in alto stato di confusione spirituale. Confusione che a volte si abbatte sul film stesso, perfettamente calibrato nelle scene ambientate a Barbieland (un mondo di plastica ricostruito in teatri di posa in Inghilterra) e un po’ più dispersivo quando si sposta in California, ma non smorza mai del tutto l’energia umoristica di un blockbuster che sotto la scorza molto artificiale vanta un ritratto intelligente e in più punti esilarante della nostra epoca.