Breakfast Club compie quarant'anni
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Ci sono i film generazionali imbarazzanti, guardati con gli occhi di oggi, e ci sono quelli che con la complicità della nostalgia scaldano il cuore a ogni passaggio televisivo. Poi c’è Breakfast Club, meravigliosamente sospeso nel tempo a 40 anni dalla sua uscita, il 7 febbraio 1985. Il film di John Hughes è quello generazionale definitivo, con dialoghi e atteggiamenti degli adolescenti del 2025 e forse anche di quelli del 2065.
Il Brat Pack
Gli anni Ottanta sono stati l’età dell’oro dei teen movie, lanciando attori che hanno avuto carriere di lunghezza infinita. Del cosiddetto Brat Pack, letteralmente Banda di monelli, il gruppo di attori intorno ai vent’anni che ruotava sui film di maggiore successo del genere adolescenziale, facevano parte Tom Cruise, Rob Lowe, Demi Moore, Matt Dillon, Sean Penn, Matthew Broderick, Raplh Macchio, Patrick Swayze, Andrew McCarthy, e pochi altri, fra cui tutti e cinque i protagonisti di Breakfast Club. Judd Nelson (nel film il ribelle John), Anthony Michael Hall (il nerd Brian), Emilio Estevez (lo sportivo Andy), Molly Ringwald (la reginetta Claire) e Ally Sheedy (l’introversa Allison). Ecco, il Brat Pack era questo e chi non è stato presente in almeno uno tra Breakfast Club, St. Elmo’s Fire (Estevez, Lowe, McCarthy, Moore, Nelson, Sheedy) di Joel Schumacher, I ragazzi della 56esima strada (Macchio, Dillon, Swayze, Lowe, Estevez e Cruise) di Francis Ford Coppola, Wargames (Broderick e Sheedy) di John Badham e Sixteen Candles (Ringwald, Hall) di Hughes non può essere ritenuto parte di quel gruppo di ragazzi eterni, alcuni neppure troppo ragazzi, che nel biennio 1983-1985 definirono uno standard. Chiunque dopo di loro abbia recitato in film o serie televisive teen si è dovuto confrontare con quei modelli.
Il liceo
Lo schema di Breakfast Club si differenzia dagli altri film del Brat Pack per essere molto teatrale. Un luogo unico e chiuso, il liceo dell’Illinois in cui i ragazzi devono stare in punizione dalle 7 alle 15 di un sabato, ognuno per una trasgressione diversa. Cinque personaggi forti, quasi cinque maschere, i cui atteggiamenti e sentimenti cambiano durante quelle otto ore di nulla in cui dovrebbero scrivere un tema dal titolo «Chi sono io?». Cinque adolescenti con sogni molto diversi ma accomunati dall’essere poco ascoltati, poco compresi e in definitiva poco amati dai genitori, che li vogliono crescere a loro immagine e somiglianza. Non importa che sia così davvero, anzi nelle poche scene in cui si vedono i genitori non accade nulla di particolare, ma questa è la percezione prima vissuta in maniera individualistica e poi aumentata dal fatto di parlarne, con ognuno che trova conferme nella vita di coetanei con cui prima di quel sabato mai ha davvero parlato. A proposito, il linguaggio era scorrettissimo per l’epoca e ancora di più oggi, gli scarsi passaggi televisivi del film sono probabilmente dovuti alla paura di urtare qualche sensibilità visto che c’è sempre qualcuno che si offende.
Il culto
La storia del cinema insegna che i film di culto non si possono progettare a tavolino, a differenza dei film che hanno «soltanto» successo. È quindi con il senno di poi che tutto è diventato culto, dal casting (Ringwald inizialmente era stata scelta per fare Allison, mentre per la parte di Claire la scelta sembrava ristretta a Jodie Foster e Robin Wright) alla scuola (un liceo di Des Plaines, Illinois, chiuso dal 1981, che nel film si chiama Shermer High School), dalla campagna pubblicitaria con le foto di Annie Leibovitz (la locandina è da molti considerata la migliore di sempre) alla Don’t you forget about, scritta da Keith Forsey e Steve Schiff, che dopo i rifiuti di vari gruppi e di Billy Idol fu accettata dai Simple Minds che la cantarono espressamente per il film facendola diventare il loro maggiore successo. Dalle scene conosciute a memoria, a partire dal ballo liberatorio in biblioteca sulla musica dei Wang Chung, alle polemiche postume come quella ai tempi del #MeToo (nel mirino una scena in cui Claire veniva molestata, ma anche la trasformazione di Allison in ragazza acqua e sapone) e quelle sul cast totalmente composto da bianchi, non c’è aspetto di Breakfast Club che non sia stato vivisezionato e utilizzato anche fuori contesto: come nel caso celeberrimo degli allenamenti alle 6 del mattino, seguiti da colazione, di Michael Jordan a casa sua insieme ai più fedeli fra i compagni di squadra nei Chicago Bulls, Scottie Pippen su tutti.
Il ruolo di Hughes
The Breakfast Club non sarebbe esistito senza John Hughes, il genio ispiratore, anche indirettamente, di tutto ciò che gli adolescenti degli anni Ottanta e Novanta hanno visto, anche se come sceneggiatore Hughes è andato ben oltre il genere teen. Hughes scrisse il film in contemporanea mentre era sul set di Sixteen Candles e vent’anni dopo si mise al lavoro per un sequel che avrebbe di sicuro fatto epoca, riprendendo gli stessi cinque personaggi con gli stessi cinque attori, ma cambiandone i comportamenti: il John adulto sarebbe stato integrato nel sistema, Claire sarebbe diventata una rivoluzionaria e così via, con la costante che tutti, nei rapporti con i figli si sarebbero comportati come i rispettivi genitori. Sarebbe stata l’ideale chiusura di un cerchio e di un racconto in cui si mescolano amarezza e speranza, vita già scritta e vita da scrivere. La morte per infarto di Hughes, nel 2009, bloccò definitivamente il progetto. Il Breakfast Club sarebbe rimasto unico, ma anche eterno come la citazione da Changes di David Bowie all’inizio, che Ally Sheedy suggerì a Hughes: «E questi bambini sui quali sputate mentre cercano di cambiare i loro mondi sono immuni dai vostri consigli. Sono consapevoli di ciò che sta accadendo».