Grande schermo

Chiara, quindicenne figlia della ’Ndrangheta

È la protagonista del nuovo film del regista italiano Jonas Carpignano
Swamy Rotolo, protagonista del film che si è aggiudicato l’Occhio d’oro all’ultimo Festival di Zurigo. © FRENETIC
Antonio Mariotti
22.10.2021 22:45

Quale sarà il destino di Chiara, secondogenita quindicenne di una famiglia mafiosa di Gioia Tauro? Chiara è la protagonista del nuovo lungometraggio del regista italiano Jonas Carpignano, ultimo capitolo di un trittico che, dopo essersi occupato della comunità di immigrati della città calabrese (Mediterranea, 2015) e di quella Rom divenuta sedentaria (A Ciambra, 2017), punta ora i riflettori sulla ’Ndrangheta. E lo fa non in maniera diretta, ma concentrandosi sulla cerchia familiare che costituisce la solidissima base di questa organizzazione malavitosa. Contrariamente alla Mafia siciliana o alla Camorra napoletana, è infatti impossibile entrare in un clan della ’Ndrangheta calabrese senza avere un legame di sangue con uno dei membri.

Le cose cambiano
Chiara, così come la sorella maggiore Giulia che ha appena compiuto 18 anni (e la cui festa di compleanno èm descritta nella lunga sequenza iniziale del film), vive in una sorta di beata ignoranza, senza porsi domande sulle origini del benessere in cui è immersa. Le cose cambiano però radicalmente dopo che l’auto di suo padre viene fatta saltare in aria e il genitore scompare misteriosamente. La ragazza inizia allora ad essere consapevole del ruolo svolto dai parenti nel traffico di droga e dà il via a una sua personale indagine che la porterà a scoprire i meccanismi dell’attività criminale, fino al confronto diretto con il padre latitante che le conferma i sospetti che l’hanno messa in crisi. Chiara è così costretta a marinare la scuola, mettendo in allarme i servizi di aiuto sociale per i minori che le prospettano un trasferimento forzato in una famiglia agiata della lontana Urbino, pronta a occuparsi di lei fino alla maggiore età per spezzare la catena generazionale della ’Ndrangheta. Un provvedimento radicale, effettivamente previsto dalle norme legali in vigore nella regione, che metterà Chiara di fronte a una difficilissima scelta esistenziale ed affettiva, sinonimo di conseguenze determinanti per tutta la sua vita.

Un finale aperto
Jonas Carpignano opta per un finale aperto, ma il suo punto di vista riguardo a questo modo di agire da parte dello Stato è molto critico, poiché sottintende una rottura definitiva con un contesto di relazioni intime che non può semplicemente essere cancellato con un colpo di spugna dalla vita di una persona, soprattutto da quello di una ragazza in piena crisi adolescenziale. Una presa di posizione coraggiosa che testimonia a favore di una complessità sociale che certe norme faticano a tenere in considerazione nonostante le buone intenzioni di fondo. A Chiara conferma per il resto l’originalità dell’approccio cinematografico del 37.enne regista che - come nei suoi film precedenti - mischia gli stilemi del documentario e quelli della fiction utilizzando attori non professionisti che, in questo caso, fanno tutti parte della stessa famiglia. Se la protagonista, Swamy Rotolo, è sempre all’altezza della situazione e risulta estremamente credibile, non si può purtroppo dire la stessa cosa di altri interpreti (ad esempio la madre della ragazza) che peccano di una recitazione a tratti scadente. Anche la sceneggiatura, pure opera di Carpignano, risulta a tratti lacunosa, lasciando in sospeso delle questioni importanti e togliendo al film parte della sua efficacia.