Festival di Cannes: anno d'oro, palmarès pure
Al termine di un’edizione che pare aver scacciato definitivamente i fantasmi di un triennio dominato dalla pandemia, grazie a una selezione ufficiale di altissimo livello e a un parterre di star da impazzire, il Festival di Cannes ha giocato le sue ultime carte sabato sera durante una cerimonia di chiusura memorabile. Memorabile per i tanti grandi nomi del cinema mondiale presenti nel Grand Théâtre Lumière: da Orlando Bloom a John C Reilly, da Jane Fonda a Quentin Tarantino che ha invitato sul palco per un saluto il suo maestro: il 97.enne Roger Corman. Memorabile per il palmarès praticamente perfetto e unanimemente applaudito (una vera rarità) messo insieme dalla giuria (presieduta dal cineasta svedese Ruben Östlund) che non ha dimenticato alcun film degno di un premio tra i 21 titoli in gara. E memorabile anche per il discorso della vincitrice della Palma d’oro, la regista francese Justine Triet, che non ha esitato a condannare la repressione violenta operata dal governo francese nei confronti di chi è sceso in piazza contro la riforma delle pensioni, invocando la salvaguardia dell’«eccezione culturale francese».
Onore al cinema asiatico
Il primo aspetto che va sottolineato dell’eccellente lavoro della giuria di Cannes 2023 è la sua attenzione nei confronti del cinema asiatico, ospite regolare negli ultimi decenni sulla Croisette. Il premio per la migliore interpretazione andato all’attore giapponese Kōji Yazusho per Perfect Days di Wim Wenders è più che meritato per la sincerità e la profondità dimostrata nel vestire i panni di un personaggio che più umile e dignitoso non si potrebbe. E come dimenticare le origini vietnamite di Tran Anh Hung al quale è andato il premio per la miglior regia per il suo «film gastronomico» La passion de Dodin Bouffant, capace di nutrire anche gli occhi e l’anima. Un riconoscimento che giunge a 30 anni di distanza dalla Caméra d’or vinta nel 1993 e che quest’anno è andata a un suo connazionale esordiente: Pham Thien An per L’arbre aux papillons d’or. Forse più discutibile ma azzeccato, nel senso che in questo caso il copione è migliore del film finito, è il premio andato al giapponese Sakamoto Yuji per la sceneggiatura di Monster del maestro giapponese Kore-eda Hirokazu.
Grandi nomi e novità
D’altra parte, la giuria guidata da Östlund ha saputo dosare bene i riconoscimenti tra grandi maestri e nomi nuovi. Tra i primi (oltre ai già citati Wenders e Kore-eda) ci sono il finlandese Aki Kaurismäki. che con il suo tenero e umanissimo Les feuilles mortes si porta a casa il Premio della Giuria; e il turco Nuri Bilge Ceylan che ha visto premiata l’ottima protagonista del suo Les herbes sèches: la minuta ed estremamente espressiva Merve Dizdar. Il capolavoro dei giurati è però stato quello di conferire i massimi riconoscimenti ai due film che di gran lunga erano dati per favoriti non solo dalla critica, entrambi opera di cineasti già affermati ma che a Cannes non avevano mai raccolto nulla. Addirittura, il britannico Jonathan Glazer, che ha ottenuto il Grand Prix con il suo magnifico ed agghiacciante Zone of Interest era alla sua prima selezione. Molto più vicina al festival la regista francese Justine Triet che si era già vista in concorso nel 2019 con l’intrigante ma non del tutto riuscito Sybil. Il suo Anatomie d’une chute coniuga magistralmente suspense e approfondimento psicologico, alimentando di nuova linfa anche un genere mai tramontato come quello processuale. Ciliegina sulla torta: entrambi questi ultimi film vedono come protagonista l’attrice tedesca Sandra Hüller che diventa così la vera madrina di Cannes 2023. Rimane a mani vuote il trio italiano Moretti-Bellocchio-Rohrwacher ma nemmeno in questo caso oseremmo metterci contro una giuria così competente e illuminata.