L'intervista

«I bambini sono specchi delle nostre emozioni»

Il regista e animatore svizzero Claude Barras riceverà questa sera il Locarno Kids award la Mobiliare, il riconoscimento dedicato alle personalità capaci di far arrivare il cinema agli spettatori più piccoli – Lo abbiamo incontrato
© LFF/Maria Linda Clericetti
Viviana Viri
13.08.2024 06:00

Il regista e animatore svizzero riceverà questa sera il Locarno Kids Award la Mobiliare, il riconoscimento dedicato alle personalità capaci di far arrivare il cinema agli spettatori più piccoli. Autore dell’amatissimo Ma vie de Courgette (La mia vita da Zucchina, 2016), Claude Barras porterà in piazza Grande il suo ultimo lungometraggio, Sauvages (2024), recentemente presentato a Cannes.

Cosa l’ha ispirata a creare Sauvages e quali sono i temi principali che voleva esplorare con questo film?
«Sono cresciuto nelle Alpi, sia i miei genitori sia i miei nonni provengono da un piccolo villaggio del vallese in cui si praticava l’agricoltura tradizionale. Mi hanno sempre parlato molto della loro infanzia, di come seguivano le stagioni e del tempo passato in quei luoghi. La modernità ha in seguito stravolto tutto, per la mia generazione spesso la parola contadino veniva usata come insulto. Riflettendo su questo aspetto e sul nostro rapporto con la natura ho deciso di fare questo film. L’altra ispirazione è stata l’incontro durante la mia adolescenza con i testi dell’antropologo svizzero Bruno Manser, il suo impegno civile e la sua sensibilità alle questioni ecologiche e alla natura mi hanno sempre impressionato. In questo film ho voluto incrociare il mio cammino, che viene dalla terra e dalla modernità, con la sua storia nel Borneo».

Chi sono i selvaggi di cui parla nel titolo?
«La parola selvaggio è una parola che è stata utilizzata in diversi modi, come qualcosa di potente e di bello ma anche come qualcosa di cattivo e duro, è una parola che è anche ambivalente, come la modernità».

Quali sono state le principali sfide che ha affrontato durante la produzione del film, sia dal punto di vista tecnico sia narrativo?
«La più grande sfida che ho trovato nella stesura della sceneggiatura è stata quella di fare una storia che non avesse troppa morale ecologica e che non seguisse troppo il mio punto di vista sul mondo. Sono molto pessimista e amareggiato dal cammino che ha preso la nostra società e da come la politica e il mondo finanziario considerano il nostro futuro. Questo mi ha dato la spinta per fare questo film e raccogliere il testimone lasciato da Bruno Manser. Tuttavia, se nel film avessi messo troppe di queste tematiche sarebbe diventato un manifesto politico e sarebbe stato meno interessante per il grande pubblico. La mia idea era piuttosto quella di mostrare cosa mi irritava e lasciare al pubblico la possibilità di scegliere e di giudicare liberamente. La parte più difficile è stata proprio quella di togliere il mio giudizio».

Anche in Sauvages, come nei suoi precedenti lavori, le emozioni hanno un ruolo centrale.
«Credo che questa sia una scelta che mi leghi a qualcosa di ancestrale che troviamo nel raccontare storie. Nell’utilizzare dei disegni o delle sculture c’è qualcosa di un po’ sciamanico che emerge. Le marionette possono raccontare delle storie e far credere di essere viventi, spesso mentre lavoriamo noi stessi siamo presi dalle emozioni che ci rinviano come uno specchio. Lo stesso fanno i bambini facendoci vedere la parte positiva delle nostre emozioni, ma anche quelle che vogliamo nascondere. Sono anch’essi come degli specchi delle nostre emozioni. Sono diventato papà da poco, un bambino ci mostra anche quello che non vogliamo vedere, questa è la parte interessante».

Il Locarno Kids Award la Mobiliare viene conferito a personalità capaci di far arrivare il cinema agli spettatori più piccoli. Quanto è importante parlare alle nuove generazioni di queste tematiche e qual è la chiave per farlo?
«Non so se ci sia una chiave per farlo, spesso Disney e Pixar utilizzano diversi livelli di lettura con delle gag indirizzate ai bambini e altre pensate per i genitori. Nei miei lavori cerco piuttosto di rivolgermi direttamente ai più piccoli, ma con dei temi seri e delle emozioni forti. Tutti siamo stati bambini, e credo che tutti abbiamo avuto dei momenti di fragilità nella nostra infanzia. È qualcosa che in qualche modo per forza ci interessa e ci coinvolge. La chiave per me sta nel trattare i soggetti scelti in maniera piuttosto sottile, in modo che i ragazzi possano riflettere. Soggetti che non siano troppo violenti, ma allo stesso tempo in cui non bisogna evitare di mostrare le difficoltà. In questo modo tutti possono trovare la loro porta d’accesso al film e in un secondo momento la porta d’entrata dal film verso la realtà. L’idea di fondo è che il film possa aiutare a far parlare anche di cose che nella nostra società non sono così semplici. Le mie storie sono molto realistiche, mi ispiro molto a Ken Loach e ai fratelli Dardenne. Quello che rimprovero all’industria dell’animazione è di infantilizzare i ragazzi, per questo motivo cerco di posizionarmi un po’ più accanto. A volte ci sono comunque dei film che trattano un buon soggetto, ma sono volti al puro intrattenimento. Credo invece che li si possa fare anche parlando di cose interessanti, che ci riguardano tutti, e non solo per dimenticarci di tutto quello che ci sta attorno».

Sauvages è una produzione più cara rispetto a quella precedente?
«L’animazione in stop motion è una tecnica molto costosa ed è necessario che ci lavorino molte persone, parliamo di circa centomila franchi al minuto. La mia vita da Zucchina durava sessantadue minuti ed è costato più di sette milioni. Sauvages invece arriva agli ottanta minuti ed effettivamente è costato circa dieci milioni. Per finanziarlo abbiamo dovuto cercare di riunire anche altri Paesi, in questo caso Belgio e Francia. È stata un’ottima collaborazione che ci ha permesso di confrontare e scoprire tecniche interessanti».

Sta lavorando a dei nuovi progetti?
«Mi sto dedicando al mio prossimo lungometraggio, che sarà un adattamento del fumetto Ce n’est pas toi que j’attendais, di Fabien Toulmé».

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