Il commento

Il Locarno Film Festival tra gloria e provincialismo

L’edizione 2025 consacra il Pardo sulla scena mondiale, ma chiede un cambio di passo al territorio, che deve affrancarsi da rituali e polemiche sterili
Mattia Sacchi
18.08.2025 11:28

Un successo oltre ogni aspettativa, per usare le parole del direttore artistico Giona A. Nazzaro. La 78ª edizione del Locarno Film Festival ha registrato affluenza, attenzione mediatica e qualità di programma che hanno confermato la forza di una manifestazione capace di unire piazze gremite, cineasti d’avanguardia e ospiti capaci di far vibrare l’immaginario collettivo. Jackie Chan che si gode le valli del Locarnese, Willem Dafoe visto sul lungolago di Locarno e nei grotti della zona con gli amici, Lucy Liu che scende dall’auto per concedere una foto a una famiglia, Emma Thompson che prolunga la sua permanenza oltre il previsto: sono immagini che raccontano, meglio di tante analisi, la riuscita di un Pardo che ha saputo trasformare la città in palcoscenico internazionale.

A segnare questa edizione è stata anche la presenza costante della presidente Maja Hoffmann, che quest’anno ha vissuto l’intera manifestazione. Diversa nello stile rispetto al suo predecessore Marco Solari – meno radicata nel territorio ma, rispetto all’anno precedente, più incline a dialogare direttamente con il pubblico – Hoffmann ha trasmesso un’idea di festival cosmopolita, in cui la qualità delle opere in concorso e la visione culturale prevalgono sulla dimensione celebrativa. Un cambio di passo che ha mostrato potenzialità nuove, pur richiedendo ancora di rafforzare la comunicazione verso l’esterno.

Il Pardo funziona quando sa tenere insieme questi due mondi: quello internazionale, con un cartellone di film di alto livello, e quello locale, con iniziative che valorizzano il territorio. Ne sono prova la festa di Campari al Casorella, che ha fuso mondanità e patrimonio culturale, o l’evento Swatch che ha condotto i giornalisti internazionali fino al santuario della Madonna del Sasso. Anche il BaseCamp, che ha raccolto l’entusiasmo di centinaia di giovani, e la vittoria del Pardino per il CISA hanno mostrato con forza come formazione e talento locale possano trasformarsi in riconoscimento globale. La «Parda» di Carlo Rampazzi e Sergio Villa, installata in Città Vecchia, ha invece aperto la strada a un possibile «Fuori Festival» diffuso, capace di far respirare arte e creatività anche fuori dalle sale. Meno convincente, invece, l’esperimento delle aperture domenicali dei negozi: con appena il 30% delle saracinesche alzate, l’iniziativa ha lasciato un bilancio in chiaroscuro. Eppure resta un segnale importante: anche l’impegno dei commercianti, se più coeso, potrà contribuire a rafforzare l’attrattiva complessiva del Festival. La crescita passa anche da questi gesti quotidiani.

Non sono mancate, tuttavia, situazioni che hanno dato un sapore di provincialismo e che rischiano di frenare la spinta internazionale del Pardo. Sullo schermo di Piazza Grande, un dibattito era non solo legittimo ma doveroso; alcune argomentazioni si sono però rivelate sterili e pretestuose, trasformando la discussione in una polemica e facendo perdere un’occasione di confronto costruttivo sull’eredità di maestri come Livio Vacchini. La serata del Gran Consiglio, pensata per celebrare il sostegno politico, ha perso parte del suo senso se i deputati invitati non restano per la proiezione: la formula va ripensata, pur riconoscendo che il sostegno delle istituzioni resta vitale e che il ricevimento della Magistrale è un'occasione per far avvicinare i parlamentari alla magia del Pardo. Anche perché l’alternativa a non sostenere il Festival sarebbe infinitamente peggiore: significherebbe indebolire un generatore di turismo, economia e cultura che porta innegabili benefici a tutto il Cantone. Una responsabilità che la politica non può permettersi di eludere. Anche alcuni interventi dal palco hanno lasciato perplessi: quando un premiato trasforma il suo discorso in un elenco di critiche personali, come se ci si volesse togliere sassolini dalle scarpe, il messaggio appare incoerente e fuori luogo. Il pubblico internazionale che arriva a Locarno per celebrare il cinema, e non per assistere a polemiche e frecciatine, si trova inevitabilmente spiazzato: Piazza Grande non è la cornice adeguata a simili esternazioni.

Per contro, la questione di Gaza, esplosa in Piazza Grande con un flashmob e migliaia di cartoline «insanguinate», ha rivelato la capacità del Festival di farsi luogo di confronto civile. La platea si è mostrata matura, capace di ascoltare e di riflettere insieme: un momento che resterà come segno di questa edizione. Resta però cruciale trovare il giusto equilibrio: l’impegno politico e sociale non deve oscurare i contenuti cinematografici, che restano il cuore della manifestazione. È attraverso la qualità del programma, con opere provenienti da Israele, Palestina e Libano, che il Pardo ha saputo esprimere al meglio il suo ruolo di piattaforma pluralista e autorevole.

Locarno ha dimostrato ancora una volta di essere molto più di un festival: è un rito collettivo che intreccia cinema e territorio, immaginazione e realtà. Per crescere ulteriormente deve però consolidare la sua vocazione internazionale, affrancandosi da quei provincialismi che rischiano di sminuirne la forza. La sfida, per gli anni a venire, sarà proprio questa: unire la capacità di attrarre grandi autori e ospiti di respiro mondiale con la valorizzazione del contesto locale, trasformando le radici territoriali in una risorsa e non in un limite. Solo così il Pardo potrà continuare a ruggire, non solo a Locarno ma nel panorama globale.

In questo articolo: