Il Miracolo delle Ande: «La società della neve», il film sui sopravvissuti al volo 571
Probabilmente, pur nella sua tragicità, una storia del genere rientra nel cosiddetto realismo magico. Uno stile che, spesso, tende a confondere i confini tra fantasia e realtà. La società della neve è una pellicola di cui si sta parlando molto, moltissimo in questi giorni. Uscirà su Netflix il prossimo 4 gennaio, ma avrà un passaggio anche nelle sale cinematografiche prima e, soprattutto, è stato selezionato per rappresentare la Spagna agli Oscar 2024 nella sezione del miglior film internazionale. A leggere la sinossi, appunto, viene da pensare che gli sceneggiatori abbiano forzato la mano. Che, insomma, abbiano puntato troppo sul sensazionalismo. Sentite: un aereo precipita in una zona remota delle Ande, il 13 ottobre del 1972, costringendo i sopravvissuti a rimanere per 72 giorni ad alta quota, senza cibo e alla mercé degli elementi. Due di loro, alla fine, cammineranno per giorni, senza vestiti o attrezzature speciali, fino a raggiungere il Cile e, di riflesso, i soccorsi. Dettaglio raccapricciante: i passeggeri del volo, affamati, riescono a sopravvivere grazie al cannibalismo o, meglio, alla scelta di cibarsi dei corpi di chi non ce l'ha fatta.
Troppo, vero? Eppure, stiamo parlando di una storia vera. Verissima. Il Miracolo delle Ande, proprio così, o se preferite la storia di come i sopravvissuti del volo 571 dell'Aeronautica militare uruguaiana, un Fokker F27 che, dallo scalo di Mendoza, in Argentina, avrebbe dovuto raggiungere Santiago del Cile, riuscirono a ritrovare la vita al termine di un inferno fatto di freddo, neve e, come detto, carne umana. Non è la prima volta che il cinema si china su questa tragedia, causata da un errore evidente dei piloti: nel 1993, infatti, Frank Marshall firmò l'ottimo Alive, con Ethan Hawke fra i protagonisti. A distanza di trent'anni da quel film e oltre cinquant'anni dopo gli eventi del 1972, tocca a una produzione a tre – Spagna, Uruguay e Cile – nonché al regista Juan Antonio Bayona rimettere mano all'odissea di questi ragazzi divenuti eroi, partiti dall'Uruguay per disputare una partita di rugby e ritrovatisi letteralmente senza nulla in uno dei luoghi più remoti della Terra.
La società della neve è stato mutuato dall'omonimo libro del 2008 di Pablo Vierci, giornalista nonché amico dei sopravvissuti. Bayona, dal canto suo, ha compiuto un lunghissimo percorso prima di arrivare al prodotto finale. Ha iniziato a lavorare alla realizzazione del film nel 2011. Per tutto questo tempo, ha condotto interviste approfondite con i sopravvissuti. A colpire i critici che hanno potuto vedere la pellicola, riporta la BBC, è il fatto che l'orrore, durante i 144 minuti di visione, non funga quasi mai da tema portante. Lo stesso tema del cannibalismo è stato gestito con parsimonia da parte del regista, elogiato proprio per la dignità che ha saputo dare alle scelte, terribili, cui sono stati confrontati i sopravvissuti. «Questa è una storia orribile che non è mai incentrata sull'orrore» ha detto, al riguardo, lo stesso Bayona. «Il modo in cui affrontiamo la storia è esattamente l'opposto. È incentrato sull'aspetto umano della storia e sull'amicizia, sull'estrema generosità che avevano l'uno verso l'altro».
La generosità, leggiamo, è legata a un patto che fecero all'epoca, durante quei giorni, molti sopravvissuti. In caso di morte, avrebbero offerto il proprio corpo ai compagni di sventura. L'aereo, al momento dello schianto, trasportava 40 passeggeri. Cui bisognava aggiungere 5 membri dell'equipaggio. A bordo c'erano amici, familiari e giocatori dell'Old Christians Club oltre a una persona estranea al gruppo, Graciela Mariani, che doveva raggiungere Santiago per il matrimonio della figlia. Trentatré persone sopravvissero allo schianto, soltanto sedici però furono tratte in salvo. «Ho fatto molte interviste con loro, e all'epoca erano giovani ragazzi che studiavano all'Università, alcuni facevano medicina o legge, e alcuni erano religiosi mentre altri no» ha spiegato Bayona alla BBC. «Nel film c'è una lunga conversazione tra due ragazzi sull'utilizzo o meno dei corpi, basata sulle conversazioni reali che ho avuto con loro».
Bayona, più di ogni altra cosa, ha insistito affinché il film fosse reale. Vero. Anche, anzi soprattutto per i sopravvissuti e le loro famiglie. Nando Parrado, che assieme a Roberto Canessa attraversò a piedi le Ande fino a raggiungere l'agognato Cile e a lanciare, finalmente, una missione di soccorso, ha confidato le sue impressioni al Guardian dopo aver visto il lavoro di Bayona: «Ho detto al regista: dopo che la gente avrà visto questo film, capirà davvero che cosa abbiamo passato. Ha catturato l'essenza di ciò che abbiamo passato molto, molto bene. Anche mia moglie, quando il film è finito, mi ha afferrato il braccio e ha detto: cazzo, amico. Non sapevo che fosse così difficile. Ora capisco».
Lo scenario, inquietante, delle Ande è stato ricreato in Spagna, sulle montagne della Sierra Nevada. Gli attori, nella neve, hanno indossato gli stessi abiti dell'epoca e hanno perso peso, sotto controllo medico, per ricreare fedelmente il fisico dei protagonisti dopo settimane e settimane di privazioni. Bayona, invece, è stato di persona nel massiccio montuoso vicino a Glaciar de las Lágrimas. Per capire, di persona, quanto sia stato difficile sopravvivere in un posto così lontano da tutto e tutti. Questo il suo racconto del suo periodo ad alta quota: «Anche se non ho sofferto il freddo perché avevo il sacco a pelo nella tenda ed ero protetto, quando mi sono svegliato al mattino la mia bottiglia d'acqua era un pezzo di ghiaccio». E ancora: «Il mio cuore batteva sempre velocissimo, ero confuso e fuori di testa. Ho perso completamente il senso del tempo. E ho pensato: questa è solo una notte per me, queste persone hanno passato più di 70 notti qui, indossavano abiti inadeguati, non erano pronti».
La decisione di attraversare le Ande per cercare aiuto fu presa dopo che, tramite una radiolina transistor trovata a bordo, i sopravvissuti appresero che le autorità avevano interrotto le ricerche. Il viaggio di Parrado e Canessa durò una decina di giorni. Durò fino alle verdi vallate del Cile, come dissero in Alive. Fino a quando non incrociarono il cammino di un gruppo di contadini cileni. I primi a conoscere, dalla bocca dei superstiti, come fu possibile per un gruppo di ragazzi sopravvivere così a lungo in un ambiente così estremo. «Eticamente, religiosamente, ci sono molte cose che si potrebbero dire» ha raccontato, una volta ancora, Parrado nelle scorse settimane, riferendosi al fatto di aver mangiato carne umana per rimanere vivo. «Ma questa cosa non mi ha mai dato fastidio. Mai».