Venezia 79

La doppia vita di Norma Jean, diventata Marilyn Monroe

«Blonde» racconta la trasformazione della giovane aspirante attrice americana in star internazionale – In concorso anche i film persiani «Oltre il muro» e «Gli orsi non esistono» che narrano di storie difficili nell’Iran di oggi
Una meravigliosa Ana de Armas gioca con le due identità della star americana. © AP
Max Armani
09.09.2022 06:00

Norma Jean Baker, o Marilyn Monroe? Il regista Andrew Dominik, in concorso alla 79. Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia con il film Blonde (USA) tratto dal romanzo di Joyce Carol Oates, racconta come l’una si trasformò nell’altra senza riuscire a lasciarsi alle spalle tutto quel fardello di ricordi, di traumi, quella fame di affetto di cui Norma aveva sofferto e che non risparmiarono neppure Marilyn, malgrado il successo e la fama mondiale che però le scavarono attorno una fatale gabbia di solitudine.

Interpretato da una magnifica Ana de Armas, che gioca con le due identità ed è una Marilyn Monroe sensibile e mutevole, Blonde ripercorre i momenti salienti della sua biografia in modo emotivo, sentimentale, alle volte volutamente crudo, ma sempre con un’aura da leggenda, dall’infanzia difficile con la madre (Julianne Nicholson), al non meno infelice apprendistato da starlet, al successo, con immagini che ricordano i film drammatici americani del 1940-‘50, spesso in un falso bianco e nero, con uno stile evocativo che salta capricciosamente tra gossip e storia hollywoodiana, mettendo insieme audizioni e amori, feste e première, sequenze di film famosi, applausi e tragedie seguendo una Marilyn sfolgorante con i capelli platinati che brillano, le mitiche «curve» del suo corpo che attirano gli sguardi e la sua voce quell’inconfondibile bisbiglio dai toni dolci e infantili che manda tutti in visibilio, sino alla tragica discesa agli inferi finale.

Il film, più di tre ore, un ottimo cast, una regia molto curata, è molto raffinato e seduce malgrado una pervasiva malinconia e una certa patinata freddezza. Blonde presentato da Netflix, sarà sulla piattaforma verso fine settembre.

Due storie realistiche dall'Iran

Mentre alla Mostra si moltiplicano le iniziative di solidarietà sia per l’Ucraina che per ricordare registi, cineasti e artisti imprigionati nel mondo, in concorso è il momento del film iraniano Shab, Dakheli, Divar (Oltre il muro) del regista Valhid Jalilwand. Storia di Alì (Navid Mohammazadeh) che, quasi cieco per un incidente sta tentando di suicidarsi, quando Leila (Diana Habibi), una giovane vedova inseguita dalla polizia si rifugia nel suo appartamento e lui decide di aiutarla. Leila è finita in una protesta davanti alla fabbrica dove voleva riscuotere il salario arretrato, ma nel trambusto ha perso il figlio di quattro anni e per cercarlo è fuggita da una camionetta della polizia, diventando così una criminale.

Il film descrive una società dove la povertà è una realtà diffusa, soprattutto per le donne sole con bambini; dove il controllo poliziesco è stringente ed essere disobbedienti è sufficiente per essere visti come spie, o delinquenti. Oltre il muro è un film cupo, realista, ma che riesce a far affiorare dalla disperazione l’umanità e la speranza, come sottolinea lo stesso regista Valhid Jalilwand in conferenza stampa, mentre per Jafar Panahi, recentemente condannato in patria, parlerà il suo film Khers Nist (Gli orsi non esistono) che narra due storie d’amore parallele minacciate dalla superstizione e ostacolate dalle dinamiche del potere.

Un palmarès ancora da scrivere

La notte dei premi si avvicina e i pronostici cominciano a tenere banco, e se si parla di Leoni sempre più insistentemente si cita Il Signore delle formiche di Gianni Amelio, una storia italiana realmente accaduta nel 1968, ma soprattutto una interessante riflessione sull’Italia di quegli anni, dove la provincia faceva fatica a coniugare libertà di pensiero, etica e moralità con la tolleranza e l’apertura delle grandi città e l’omosessualità era tabù. Un film equilibrato, pieno di sensibilità, una ricostruzione lucida, mai pedante anche di un modo di vivere che stava cambiando.

In cima alla nostra lista dei Leoni, mettiamo anche Argentina 1985 di Santiago Mitre, quasi un thriller storico e giuridico. Un film ironico e misurato sull’Argentina del 1985, dove si fecero i conti con l’orrore della feroce dittatura di Videla che aveva schiacciato il Paese per anni, e dove emerge la forza della democrazia e quella ritrovata voglia della società di riaffermare il valore della legalità e del benessere comune.

Tra i nostri Leoni mettiamo anche: Tár, film di Todd Field, visto i primi giorni, thriller psicologico che pone al centro della storia la personalità di Lydia Tár, una delle prime donne direttore d’orchestra. Film di totale finzione che sembra una storia vera grazie anche alla bravura di Cate Blanchett che con Ana de Armas e Diana Habib sono le attrici che secondo noi possono ambire al premio per la migliore interpretazione femminile. Mentre per quella maschile eleggiamo a nostri beniamini Colin Farrell e Brendan Gleeson, i due protagonisti di The Banshees of Inisherin storia irlandese sulla complicità di due nemici-amici, regia di Martin McDonagh, anch’egli possibile candidato ai Leoni assieme a Koji Fukada del poetico film giapponese Love Life, storia di una coppia alle prese con gli scherzi dell’amore; e a Darren Aronofsky per la sapiente regia di The Whale, film su un obeso professore d’inglese bloccato dalla propria stazza in una stanza, con le proprie sofferenze fisiche e morali.

Ma, mentre scriviamo, i giochi non sono ancora conclusi, infatti deve ancora essere proiettato il film di Jafar Panahi, come pure Chiara di Susanna Nicchiarelli (ambientato ad Assisi nel 1211, storia di Santa Chiara e della sua rivoluzione), ultimo film italiano in concorso, e il film francese Les Miens (I miei) di Roschdy Zem, una storia di famiglia.