La recensione di Non è un paese per vecchi

Quattro premi Oscar nel 2008: miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista (Javier Berdem). Non è un paese per vecchi, film del 2007 di Joel ed Ethan Coen tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, è un limpido esempio di «instant classic». Abbiamo deciso di recensirlo per la sezione «Classici e cult» del CdT.
Il colore dei soldi, la morte dei valori
«Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare; e se non succede niente si beve per far succedere qualcosa». Si beve per far succedere qualcosa scriveva Charles Bukowski nel romanzo Donne del 1979. Traslando il concetto al cinema dei fratelli Coen si può benissimo sostituire l’alcol con i soldi. È quasi sempre l’attaccamento al denaro che muove l’azione e smuove gli antieroi che popolano i mondi creati dai cineasti di Minneapolis. Non è un paese per vecchi esce ad 11 anni di distanza dal pluripremiato Fargo e sembra esserne il fratello maggiore più violento e nichilista. La neve del Minnesota, capace in qualche modo di nascondere i segreti ed attutire il rumore della violenza, lascia spazio al polveroso Texas, dove il sangue scorre sulla nuda terra, alla luce del sole e con tutto il suo frastuono. Non c’è più una poliziotta incinta, portatrice di vita, a cercare risposte per gli efferati omicidi, ma uno sceriffo anziano e disilluso, senza figli a cui trasmettere i valori del passato. Non c’è più speranza, neanche per i buoni. I maldestri poveri diavoli del film del 1996, diventano cinici predatori e ingegnose prede. Non è un paese per vecchi, ambientato nel 1980, racconta la fine di un’epoca, in cui la società aveva ancora un codice di valori e anche il male aveva - in qualche modo - una sua etica. Un mix di noir, western e road movie, che sembra un viaggio di sola andata verso l’inferno. Llewelyn Moss (Josh Brolin), a caccia di antilopi, raccoglie la valigetta piena di soldi e dà il via ad una serratissima nuova caccia: da predatore diventa preda. Moss non è un personaggio senza valori, è ancora capace di pietà (porta una borraccia d’acqua all’unico sopravvissuto della sparatoria in cui sono stati massacrati pure i cani). È una sorta di anello di congiunzione tra il passato e il presente, anche se l’avidità e la voglia di riscatto da una vita mediocre, lo spingono a fuggire col malloppo. Moss è consapevole di aver imboccato una strada senza via d’uscita, ma è convinto fino all’ultimo di poterne venir fuori, per dare una svolta alla sua esistenza (e quella della moglie Carla Jean).
Chigurh, un ingranaggio del destino
È una sorta di angelo della morte Anton Chigurh (Javier Bardem), un villain disumano, che sembra più la personificazione di una legge ultraterrena, che un killer dallo strano taglio di capelli. Chigurh è punizione divina: uccide senza alcun sentimento, quasi fosse l’ingranaggio che fa muovere la macchina del destino. Chigurh è l’ineluttabile gioco del fato, è l’ombra gelida che segue Llewelyn, colpevole di aver fatto una scelta sbagliata. Il glaciale sicario interpretato da Bardem è uno di quei personaggi che si stampano per sempre nella memoria, un cattivo che uccide utilizzando una pistola ad aria compressa da macellaio e che decide di strappare la vita in base al lancio di una monetina. E così un «testa o croce», una scelta, diventa come la roulette russa dei prigionieri americani in Vietnam. I soldi nelle mani di Chigurh non sono più il motore dell’avidità umana, ma lo strumento per comprare il silenzio di un ragazzino che lo aiuta dopo un incidente stradale. Il denaro diventa frutto proibito, e il giovane ne viene subito corrotto: l’avidità umana annienta in un attimo il gesto di altruismo appena compiuto. Questa volta non c’è salvezza nel mondo dei Coen (nonostante ci siano sorrisi amari, grazie al tipico black humor dei registi) e il killer dallo strano taglio di capelli non può essere fermato. Neanche da un’auto in corsa che ignora il rosso del semaforo. Neppure dal destino.
Un mondo senza «grazie» e «per favore»
Se non c’è più spazio per i vecchi, allora non c’è posto per lo sceriffo Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones). La sua voce racconta un mondo cambiato, che corre, come Lleweylen e Chigurgh, a folle velocità verso un punto di non ritorno. «Penso che quando non si dice più ‘grazie’ e ‘per favore’ la fine è vicina», confessa Bell ad un collega. Entrambi catapultati in una realtà che non gli appartiene più, dinosauri in un mondo di macchine, impossibilitati a comprenderla perché «con l’età si diventa lineari». Lo sceriffo è lo spettatore di un cambiamento inarrestabile. Bell può solo avvicinarsi al predatore e alla preda, senza mai raggiungerli veramente, perché ormai lui è solo un vivo ricordo di un mondo che non c’è più. Nel personaggio interpretato da Tommy Lee Jones c’è tutta la malinconia per un’epoca che se ne è andata, trascinando con sé il Mito americano, o meglio una serie di miti americani, in cui ancora si credeva in qualcosa. Quei sogni finali che Bell racconta alla moglie, con lucidità e turbamento, parlano di soldi (che guarda caso vengono persi, come i valori tramandati dai nostri padri) e di morte. Un viaggio ultimo verso gli affetti che ci hanno preceduto, che ci hanno spianato la strada, illuminando il percorso freddo e buio da seguire. E forse è questo l’unico modo per trovare un po’ di sollievo: sperare che, da qualche parte, ci sia ancora un mondo antico in cui potersi sentire a casa. Una persona che ci aspetta.
Scene memorabili
La monetina
Quattro minuti e passa di pura angoscia. Il dialogo tra il killer Chigurh e il venditore è praticamente un duello, un crescendo di battute che sembra destinato a sfociare nel sangue. Ma in mezzo c’è una scelta, testa o croce: il destino che deve fare la sua imprescindibile parte. «A che ora chiudete?», chiede Chigurh. «Adesso, chiudiamo adesso», risponde il venditore sempre più intimorito. «Adesso non è un’ora», lo incalza l’assassino. Fino al lancio della monetina, con quel «scegli» che suona come una condanna a morte («Non mi sono giocato niente», esclama l’uomo, e la risposta di Chigurh è da brividi: «Sì, invece. Te lo stai giocando da quando sei nato, solo che non lo sapevi»).
«Poi mi sono svegliato»
La scena finale: una delle più discusse, enigmatiche e allo stesso tempo emblematiche del film. Nell’interpretazione dei sogni dello sceriffo Ed Tom Bell c’è la chiave di lettura (o almeno una delle chiavi di lettura) di Non è un paese per vecchi. Il monologo di Tommy Lee Jones colpisce per l’inquietudine e per quell’amarissimo «Poi mi sono svegliato», seguito da qualche secondo di silenzio, come se a pochi passi dalla scoperta della verità, questa morisse all’improvviso, lasciando una risposta muta.
Citazioni
Llewelyn: «Mi sono dimenticato di fare una cosa, ma torno presto».
Carla Jean: «Che cosa devi fare?»
Llewelyn: «Sto per fare una cazzata, ma lo farò lo stesso. Se non torno dì a mia madre che le voglio bene».
Carla Jean: «Tua madre è morta, Llewelyn».
Llewelyn: «Allora glielo dirò io».
Voto: 9/10