Lo sciopero degli attori e le conseguenze per la moda
Addio, tappeto rosso. Per il momento, almeno, o se preferite finché lo sciopero indetto dal sindacato SAG-AFTRA non cesserà. Gli attori, infatti, devono incrociare le braccia anche a livello di promozione e marketing. E così, le première di Oppenheimer e Barbie, potrebbero venire ricordate, per molto tempo, come l'ultimo sfoggio di moda e cinema o, appunto, pubblicità stessa al film in uscita.
Il sindacato, come detto, vieta di impegnarsi in qualsiasi attività promozionale. Fra cui, beh, le cosiddette prime o, ancora, le copertine di riviste. Per tacere dei festival, Locarno compreso, e dei social. Niente di niente.
Tutto ciò, evidentemente, si traduce in possibili guai per la moda, un'industria legata da sempre a doppio filo al grande schermo, in una sorta di rapporto simbiotico. Un'industria, soprattutto, che ha spesso sfruttato il cinema e il modo in cui «veste le star» per influenzare l'opinione pubblica e, di riflesso, gli acquisti. Gli attori, non a caso, sono pagati (anche) milioni per promuovere un determinato marchio. E per essere ambasciatori dello stesso in una combinazione di spot pubblicitari, prime file, inaugurazioni e tappeti rossi. Con tutta la soddisfazione della casa di moda di turno, per tacere del tornaconto in termini di copertura e desiderio d'acquisto.
Come spiega il New York Times, alcune scelte stilistiche in concomitanza con i grandi appuntamenti – come Venezia – hanno generato discussioni e dibattiti sui social. Facendo circolare, parallelamente, tanto il nome dell'attore quanto quello dello stilista. Florence Pugh e il suo revenge dress di Valentino, in questo senso, sono solo uno esempi più recenti.
Il valore di una prima
Venendo a Barbie, secondo le stime l'apparizione di Margot Robbie – vestita Schiaparelli – alla prima del film a Los Angeles, quando lo sciopero era solo una minaccia, avrebbe generato un valore di impatto mediatico di oltre 2,1 milioni di dollari in appena 24 ore. La sfilata della maison italiana, nell'autunno 2023, ne aveva raccolti meno della metà. Che cosa succede se questo circolo virtuoso, a causa di quanto sta succedendo, dovesse interrompersi a lungo?
I grandi marchi, mentre scriviamo queste righe, non hanno preso posizione sullo sciopero. Ma, va da sé, mostrano una certa preoccupazione. Soprattutto pensando alle collaborazioni. Lo stesso New York Times ne ha citate alcune: Jennifer Connelly, Michelle Williams e Ana de Armas per Louis Vuitton; Anne Hathaway per Versace. In linea teorica, queste collaborazioni non sono a rischio fintantoché si limitano al campo della moda. Lo dicono, espressamente, le linee guida dello sciopero. Di più, la presenza di attori in contesti tutto fuorché cinematografici, nel senso stretto del termine, ha offerto alle case di moda occasioni inaspettate: si pensi alla presenza di Brad Pitt a Wimbledon, per assistere al trionfo di Carlos Alcaraz su Novak Djokovic.
Certo, il guaio è quando la moda – dicevamo – si intreccia con il famoso red carpet. Il tappeto rosso. Detto di Locarno, è su Venezia (dal 30 agosto al 9 settembre) che si concentrano le maggiori paure e i maggiori timori dei grandi marchi. Proprio perché, prima dello sciopero, era assodata la presenza di Zendaya ed Emma Stone (Louis Vuitton), Jessica Chastain (Gucci) e Penélope Cruz (Chanel), chiamate a promuovere tanto i rispettivi film quanto, tramite lo sfoggio di abiti da urlo, le maison cui sono legate. E adesso? Bella domanda.
La «Tata» da Dolce e Gabbana
Un altro problema deriva dal fatto che questi marchi, sempre più spesso, hanno messo più di un piede nel mondo dei contenuti e del cinema, realizzando loro stessi cortometraggi a fini commerciali. Una commistione, questa, che potrebbe impedire alcune produzioni? Snì. Le citate linee guida dello sciopero, al riguardo, consentono di realizzare film completamente indipendenti. E Yves Saint Laurent, ad esempio, può vantare una divisione di produzione cinematografica. Significa che lo sciopero potrebbe, in un certo senso, avvicinare sempre più gli attori ai marchi che sponsorizzano. Non solo come fonte di reddito ma come sbocco creativo. «Al primo sciopero degli scrittori, i nostri team erano più impegnati che mai, perché molti attori dovevano fare più apparizioni promozionali per compensare l'eventuale rallentamento della loro vocazione principale» ha dichiarato al New York Times Brooke Wall, fondatrice del Wall Group, un'agenzia di talenti per stilisti parte del gruppo Endeavor.
Detto questo, le possibilità descritte sarebbero riservate solamente alla crème de la crème di Hollywood, una percentuale ridottissima rispetto al totale. Davvero, durante uno sciopero per rivendicare migliori condizioni di lavoro per tutti, i migliori attori in circolazione farebbero una concessione così pacchiana? Difficile a dirsi. Sarebbe un po' come festeggiare e pasteggiare mentre Roma brucia, ha scritto al riguardo ancora il New York Times. Fran Drescher, per tutti noi semplicemente La tata visti i suoi trascorsi come attrice di sitcom, era stata criticata aspramente e duramente quando, poco prima dello sciopero, aveva partecipato a un evento di Dolce & Gabbana in Puglia.
Le figure minori e gli scenari
Lo stop alla promozione dei film, concludendo, è una questione spinosissima anche pensando a parrucchieri, truccatori, sarti e chi più ne ha più ne metta, figure che non solo si rivelano cruciali nel mettere in scena un certo immaginario, ma anche nel costruire l'immagine delle star quando calcano il tappeto rosso. Figure, evidentemente, al momento senza impiego. L'effetto a cascata, insomma, non solo non è trascurabile. Ma è il vero nocciolo della questione.
Un possibile scenario, se lo sciopero dovesse perdurare, è lo sganciamento della moda da Hollywood. E la conseguente ricerca di nuovi ambasciatori, in altri campi. Ma è una possibilità, questa, ancora remota al momento.