L'intervista

Maja Hoffmann: «Sono molto riconoscente al Ticino»

La presidente traccia un bilancio della sua prima edizione alla conduzione del Festival: «L’accoglienza che ho avuto mi ha emozionato, per restare ai vertici la selezione ufficiale merita film di prima categoria»
© Locarno Film Festival / Ti-Press
Paride Pelli
19.08.2024 06:00

I riflettori si spengono, ma la 77. edizione andata in archivio nella notte su domenica sarà per sempre ricordata come la prima di Maja Hoffmann in qualità di presidente del Locarno Film Festival. Un’edizione che se da un lato ha segnato una certa continuità per ciò che riguarda il cartellone e l’offerta al pubblico, dall’altra ha registrato un cambiamento epocale a livello di conduzione, con la mecenate basilese che ha sostituito Marco Solari alla conduzione della kermesse, con un nuovo capitolo della lunga storia del Festival che si è definitivamente aperto.

Signora Hoffmann, questa edizione del Festival si è appena conclusa: quali sono le sue prime impressioni e il suo bilancio personale?
«Sono molto contenta. Il Festival mi sembra ben strutturato, con diverse ramificazioni che lo rendono un ecosistema diversificato e inclusivo da cui ciascuno può trarre profitto. In altri luoghi il cinema non è sempre così facilmente accessibile a tutti, pubblico generalista e professionisti. Mi spiego meglio: a Locarno abbiamo i concorsi ufficiali, inclusi i Pardi di Domani, che sono fucine di nuovi talenti, o Locarno Pro, una porta aperta sull’industria cinematografica internazionale. Qui da noi non è il mercato a dominare la selezione dei film, ma sono i film stessi a trovare il loro mercato, perché gli acquirenti e i distributori, a Locarno, hanno gli occhi ben aperti. Inoltre, l’iniziativa Open Doors è piena di scoperte e le residenze condurranno di certo alla produzione di nuovi film. Resta la punta dell’iceberg, per riprendere le parole del nuovo sindaco di Locarno Nicola Pini, che è, a mio avviso, la piazza Grande. Una realtà che non ha eguali nel resto del mondo. E la cosa meravigliosa è che il pubblico riempie la piazza ogni sera, creando un ambiente magico. Per il suono, l’immagine e l’ampiezza del suo schermo, la piazza è davvero un unicum. In questo caso, la quantità va di pari passo con la qualità e crea qualcosa di straordinario».

L'atmosfera a Locarno è magica e piazza Grande è una realtà che non ha eguali nel resto del mondo

Lei stessa ha ammesso prima del via della 77. edizione di non essere stata a Locarno negli ultimi anni in occasione del Festival: oltre all’ambiente da lei descritto, che città ha ritrovato?
«Ho ritrovato con grande piacere il lago, la piazza e la città vecchia, bella come un tempo: gli edifici storici sono un patrimonio magnifico. Ho apprezzato anche la cura che i commercianti mettono nell’allestimento delle loro boutique, la qualità e la diversità dei ristoranti, ma purtroppo certe abitudini rigide sugli orari di chiusura non sono cambiate, anche in periodo di Festival! Sento tuttavia la mancanza del Grand Hôtel, in cui ci si ritrovava tutti a un certo punto durante il Festival. Recuperarlo sarà fondamentale dal mio punto di vista».

L’accoglienza nei suoi confronti è stata calorosa, come si è per esempio osservato in occasione della cerimonia d’inaugurazione alla Magistrale. Se l’aspettava? E dopo questa prima edizione sente ora il Festival un po’ più suo?
«Guardi, ho avuto come l’impressione di un déjà vu: ad Arles sono sempre stata trattata bene dalle persone del posto. Sono piuttosto i parigini che passano l’estate ad Arles che si sono arrabbiati con me e probabilmente anche con il sindaco “comunista” che sosteneva il mio progetto “capitalista” perché ne aveva colto l’essenza e aveva intravisto i benefici che avrebbe portato alla città. Come se Arles non fosse capace di esistere al di fuori dell’orbita di Parigi! La Svizzera e la sua politica sono complesse, nel senso che abbiamo a che fare con quattro Paesi in uno. E tra questi ce ne sono alcuni più aperti alle novità di altri e i cui interessi differiscono. Il Festival, in ogni caso, non appartiene a me: è, e rimarrà, il frutto del lavoro di squadra di tutto il team del Festival e di questa regione. Lavoreremo insieme, fianco a fianco».

Ho ritrovato con piacere la città vecchia, bella come un tempo. Peccato per certa rigidità sugli orari!

Lei ha spesso utilizzato il termine «magia» per ciò che riguarda la sua esperienza a Locarno, riferendosi in particolare a piazza Grande: si attendeva un successo così importante di pubblico con addirittura un nuovo record di presenze?
«È la dimostrazione che le persone cominciano a liberarsi dall’angoscia provocata dalla COVID. Hanno piacere a uscire, a discutere e a mangiare qualcosa. Per questo il cinema e la piazza sono un’esperienza unica e magica, appunto, perché permettono di vivere i film insieme. L’atmosfera di una serata di cinema in piazza, senza la pioggia e sotto le stelle è una specie di sogno che si avvera. E tutto questo nonostante il caldo davvero soffocante che ha caratterizzato le giornate di questo mese di agosto».

L’obiettivo suo e del suo team è anche quello di far crescere ulteriormente il Locarno Film Festival: dove si può intervenire, secondo lei?
«Dove? Intende dire in quali ambiti o in quale luogo? Sto scherzando, ovviamente... La piazza deve essere pensata su misura per il grande pubblico. Locarno Pro deve essere il punto di riferimento per i professionisti del settore e la selezione ufficiale merita di ottenere film di prima categoria se Locarno vuole continuare a restare un festival di prima fascia. I Cineasti del Presente e le residenze, incluso il BaseCamp, sono probabilmente gli strumenti migliori per creare un futuro sostenibile. Del resto, puntare a un’emissione di carbonio pari a zero, o quasi, mi sembra necessario, qui come per qualsiasi altra iniziativa culturale. È fondamentale incorporare questi nuovi fattori, poiché possiamo ancora influire sul cambiamento climatico; questa speranza merita di essere sottolineata. Desidero discutere di tutto questo con il team, che ha già cominciato a lavorare in questa direzione, e confrontarmi con la realtà locale. Voglio cercare di sviluppare strumenti che possano mantenere in vita una forma di speranza attraverso la tecnologia, come si è detto durante la Giornata della diplomazia».

Il pubblico numeroso? La gente ha voglia di continuare a uscire e a stare insieme dopo il periodo di pandemia

Ringraziandola per il suo tempo, le pongo un’ultima domanda: quali sono stati i momenti che l’hanno emozionata di più di questa sua prima esperienza come presidente del Festival?
«Senza dubbio a emozionarmi maggiormente è stata l’accoglienza del Ticino: e ne sono molto riconoscente. Ma mi sono sinceramente emozionata anche quando, la prima sera, nel corso della proiezione in piazza del film Le Déluge viene tagliata la testa di Luigi XVI senza mostrare direttamente l’atto della decapitazione: trovo che ci sono molti modi di raccontare le cose nel cinema e tra questi non vi sono soltanto gli effetti speciali e la spettacolarizzazione. Siamo e restiamo innanzitutto umani».

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