L'intervista

Paolo Sorrentino: «Gli uomini non conoscono le donne e le vedono come un mistero»

A tu per tu con il regista e sceneggiatore, destinatario mesi fa di un'ovazione a Cannes al termine della proiezione del suo «Parthenope»
© ETTORE FERRARI
Antonio Mariotti
14.09.2024 06:00

Sarà perché il mare è a due passi dal centro nevralgico della città, proprio come nella sua Napoli. Fatto sta che, nonostante le differenze urbanistiche e culturali, Paolo Sorrentino a Cannes sembra davvero sentirsi a casa. Del resto, nel maggio scorso, era per l’ottava volta negli ultimi 20 anni in concorso al festival francese dove il suo nuovo film Parthenope non ha ottenuto premi ma ben dieci minuti d’applausi al termine della proiezione di gala. Un’accoglienza che sulla Croisette viene riservata quasi solo ai «vecchi amici». Ecco quel che ci ha raccontato il regista de La Grande Bellezza sulla ventosa terrazza del suo hotel.

Da dove nasce l’idea di questo film? È qualcosa che le frullava nella testa da molto tempo?
«Desideravo girare questo film da 4 o 5 anni, nel frattempo ho girato La mano di Dio, poi ho scritto un’altra sceneggiatura e alla fine ho trovato il modo di scrivere anche questo film e di girarlo subito dopo. L’idea nasce dalla necessità di parlare di un tema che mi sta molto a cuore, ovvero il nostro rapporto con il tempo, come scorre e come ci cambia».

Sin dall’inizio il personaggio principale del suo film era una donna?
«Sì, è sempre stata una donna. Ci sono diverse motivazioni per questa scelta: da un lato volevo raccontare come Parthenope vada alla ricerca della propria libertà e trovo che in questo momento sia più interessante mostrare questo percorso compiuto da una donna che non da un uomo; mentre dall’altro mi interessava costruire un racconto epico moderno che non avesse al centro un eroe bensì un’eroina. Tra gli ingredienti del racconto epico c’è anche la guerra e oggi la vera guerra è quella interiore che sta combattendo la donna e non l’uomo. C’è poi da dire che il rapporto con il tempo, con gli appuntamenti, della vita che ci cambiano, le donne lo affrontano sempre mentre gli uomini - spesso viziati dall’infantilismo - finiscono per evitarlo».

Questo atteggiamento ha a che vedere con il fatto che la sua protagonista scelga di studiare antropologia e poi diventi una docente universitaria?
«Volevo prima di tutto avvicinare la protagonista del film al mio vissuto e viceversa e trovo che il punto in comune tra l’antropologia e il cinema sia proprio l’atto del vedere».

C’è però anche il fatto che le donne appaiono spesso più misteriose e più ambigue ed è per questo che gli uomini continuano a chiedere a Parthenope cosa stia pensando veramente?
«Per gli uomini le donne sono un mistero e quindi stanno sempre a chiedere alle donne che amano a cosa stanno pensando. Nove volte su dieci semplicemente perché sono spaventati dalla possibilità che stiano pensando a un altro uomo. Ma la domanda resta: gli uomini non conoscono le donne e le vedono come un mistero e questo riguarda anche me».

Quindi è difficile fare un film il cui fulcro è rappresentato da un grande mistero?
«Io ho sempre fatto film su cose che non conosco, su dei misteri. Ho girato un film sulla politica, sui personaggi della politica (Il Divo: ndr.) perché non li conoscevo. Il presupposto per girare un film per me è avere un personaggio principale che non conosco e che non ho neppure la presunzione di conoscere una volta finito il film. Semplicemente lo seguo e alle volte cerco di dargli delle caratteristiche che presumo possano riguardare quel personaggio. Non ho però la pretesa di raccontare né un politico né una donna. Mi pongo continuamente domande sulle persone che non conosco e da questo continuo pormi domande nasce poi il film».

Tutti i napoletani parlano male di Napoli ma poi invece la amano. È una città estrema, invadente, sensuale e queste caratteristiche fanno sì che è una città con la quale si ha un rapporto sempre amoroso

Come ha trovato la giovane attrice protagonista, Celeste Dalla Porta, e cosa l’ha convinto ad affidarle il ruolo di Parthenope?
«La conoscevo già perché aveva fatto una comparsa ne La mano di Dio che poi era stata tagliata al montaggio. È un’attrice che mi ha colpito prima di tutto per la sua capacità di interpretare con naturalezza sia una diciottenne che una trentacinquenne. Ha un’indole che contiene dentro di sé la libertà della giovinezza ma anche un dolore sotterraneo in parte inconsapevole. È stata proprio questa contraddizione interna a farmi decidere di sceglierla».

L’altra protagonista del film è senza dubbio la città di Napoli, ma ho l’impressione che se ne parli più male che bene, o mi sbaglio?
«No, tutti i napoletani parlano male di Napoli ma poi invece la amano. È una città estrema, invadente, sensuale e queste caratteristiche fanno sì che è una città con la quale si ha un rapporto sempre amoroso. E ogni rapporto amoroso è fatto di desiderio e di slanci ma anche di insofferenze e di fughe».

Si può quindi dire che Napoli abbia un’anima femminile come la sua protagonista?
«Sì, soprattutto nella prima parte del film si nota un’identificazione tra la protagonista del film e la città. Sono entrambe seducenti, in evidenza e mettersi in evidenza è anche un modo per occultarsi. Quindi sono entrambe misteriose. Fino a un certo punto ci sono molte affinità tra lei e la città, poi successivamente, crescendo, e venendo meno il rapporto di fascinazione con molte cose, Parthenope assume una distanza più critica nei confronti di Napoli e infatti la lascia».

Del discorso iniziale sullo scorrere del tempo le interessa di più la giovinezza o la vecchiaia?
«Entrambe, anche se quello che m’interessa di più è il trauma che avviene a un certo punto, il momento in cui si passa dall’essere giovani e fare un racconto epico di sé, pieno di aspettative per false che siano, a un’età in cui tutto questo finisce e il racconto epico di sé non funziona più. Si diventa quel che si è, come diceva Nietzsche. È una crisi che ogni essere umano attraversa ed è quello che mi premeva raccontare».

C’è un rapporto tra la sua Parthenope e l’omonima dea sirena?
«L’unica relazione è rappresentata dal fatto che Parthenope nasce in acqua ed esce dall’acqua. È un’immagine cinematografica legata alla sirena che per me è molto potente perché a Napoli abbiamo un rapporto molto stretto con il mare».