Una storia infinita di dolore e razzismo
Il film inizia come una fiaba: quella di un bambino iracheno che arriva nel Paese della madre dopo essere fuggito con la famiglia da quello del padre, militante comunista inviso al regime al potere. Quel bambino si chiama Samir e raggiunge Zurigo dopo un incredibile viaggio in treno in una notte d’inverno, scoprendo per la prima volta il candore della neve. È l’unica scena onirica di La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri, il «kolossal» documentario (130 minuti, ma non sono troppi) che il noto regista zurighese ha presentato ieri in prima mondiale fuori concorso in uno stracolmo Palacinema. Per il resto, il film è un documentatissimo e lucidissimo pamphlet sul tema dell’immigrazione in Svizzera dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Un calibratissimo collage di documenti d’archivio, spezzoni di film ed interviste ad esperti in materia, ma soprattutto a testimoni diretti di quella che appare come una storia infinita di dolore e di razzismo le cui ferite non si sono ancora rimarginate.
Lo si nota nell’emozione che si legge sui volti degli uomini e delle donne che ricordano momenti di discriminazione e umiliazione vissuti mezzo secolo fa. La stessa emozione che spezza la voce dell’immigrato africano che ha creato un sindacato per i braccianti agricoli nella Puglia di oggi. A intervalli regolari, Samir ci racconta le sue vicissitudini nel nostro Paese: dall’alleanza quasi naturale con i compagni di scuola italiani che lo porta ad amare e conoscere la loro cultura, all’apprendistato da tipografo, dalle peripezie per ottenere la cittadinanza svizzera ai primi passi nel cinema.
L’idea forte del documentario è racchiusa nel suo titolo che esprime l’incorreggibile capacità del capitalismo elvetico di far affluire delle braccia e non delle persone.
I bambini-armadio fatti entrare clandestinamente in Svizzera dai genitori e costretti a vivere reclusi per anni, le iniziative popolari ricorrenti contro l’«inforestieramento» o i 250.000 lavoratori stranieri licenziati nel 1973 in seguito alla crisi petrolifera sono macchie indelebili sul nostro passato, E purtroppo non è finita qui. Grazie Samir per avercelo ricordato.