Willy Wonka, è sempre il cioccolato a far girare il mondo
Willy è un giovane imprenditore che, dopo aver girato il mondo via mare alla ricerca di ricette ed ingredienti inediti per i suoi progetti, sbarca a Londra con un gruzzoletto in tasca, deciso a fare il botto nel suo campo d’attività. Il suo sogno: aprire un negozio nella galleria più chic della città e deliziare i futuri clienti con le proprie sorprendenti invenzioni. Come tutti i giovani idealisti però il buon Willy non ha fatto i conti con l’invidia e il potere degli imprenditori che da decenni dominano il mercato, anche facendo uso di stratagemmi contabili ben poco ortodossi che rimangono impuniti grazie alla complicità dei vertici delle forze dell’ordine. Fin qui potrebbe trattarsi della trama di un film serio sulle implacabili leggi del commercio dominate dall’altalena della domanda e dell’offerta. Il dettaglio che cambia tutto è che Willy di cognome fa Wonka e che l’omonimo lungometraggio diretto e cosceneggiato da Paul King (conosciuto soprattutto per i due film di cui è protagonista l’orsacchiotto Paddington) riporta sul grande schermo l’ormai mitico personaggio nato dalla fantasia dello scrittore gallese Roald Dahl (1916-1990), uno dei maestri della letteratura per l’infanzia.
La fabbrica non c’è ancora
Diversamente dai due lungometraggi realizzati negli scorsi decenni (vedi box a lato) che si ispiravano più o meno fedelmente al romanzo La fabbrica di cioccolato, pubblicato da Dahl nel 1964, questo Wonka è un prequel che assume spesso e volentieri la forma del musical (con risultati non disprezzabili nemmeno nella versione doppiata in italiano) senza alcuna base letteraria. Il film ci racconta appunto la spericolata giovinezza di Willy, dal suo ritorno in patria fino ai primi, sudatissimi, successi della sua carriera imprenditoriale per concludersi, non certo a caso, tra le rovine di quel castello che immagina già di trasformare nella sua fantasmagorica fabbrica di sogni. Se c’è però un aspetto che risulta molto più sfumato nell’opera di Dahl ma che in questo caso attraversa in filigrana tutta la rocambolesca vicenda è l’idea - non molto originale a dire il vero - di utilizzare la cioccolata come metafora del denaro. Come quest’ultimo, le dolci leccornie ideate da Willy Wonka portano a una incontenibile forma di dipendenza, la cioccolata serve per corrompere i golosi e insaziabili custodi della legge (terrena o divina) e viene immagazzinata in caveaux segreti quale bene rifugio. Una lettura trasversale che non sfuggirà certo agli spettatori adulti, anche se il film - in puro stile natalizio - si rivolge in primo luogo, e con efficacia, al pubblico dei più giovani.
Eccessiva perfezione
L’intera operazione va del resto etichettata come un block buster di sicuro successo che non lesina né sulla sontuosità delle ambientazioni né sull’originalità di molti personaggi secondari. Né, tanto meno, su un cast stellare, a cominciare dal protagonista, Timothée Chalamet, quasi sempre all’altezza della situazione, senza dimenticare la spassosa quanto crudele Mrs. Scrubitt di Olivia Colman, il ghiottone e corrotto capo della polizia di Keegan-Michael Key, l’improponibile Padre Julius di Rowan Atkinson alias Mr. Bean o l’irriducibile e rancoroso Umpa-Lumpa di Hugh Grant. Insomma, un’operazione perfettamente studiata sotto ogni punto di vista a cui però fa terribilmente difetto la carica di tagliente ironia dei film precedenti.