Claudio Gioè, detective per caso a «Màkari»

«C’è chi lo chiama “mal d’Africa”, chi “spleen siciliano”, non so, sta di fatto che dopo ventisette anni a Roma, ho sentito la necessità di tornare a vivere a Palermo. Era l’ottobre del 2019 e poco dopo, il primo ruolo che mi è stato proposto è quello di Saverio Lamanna, giornalista palermitano che, “fatto fuori” dalla politica romana, ritorna in Sicilia, a Màkari e lì in riva al mare, tra i ricordi della sua infanzia, cerca di trovare un senso alle sue vicende personali e invece si ritrova a investigare nella vita altrui». Così Claudio Gioè, quarantacinque anni, una intensa carriera tra cinema, teatro e televisione, occhi azzurri e sguardo ironico, ci ha raccontato con il sorriso nella voce l’incontro con il suo ultimo personaggio, uscito dalla penna dello scrittore Gaetano Savatteri. Ma il debutto televisivo (il 15 marzo in prima serata su RAI 1) di questo giornalista un po’ detective alle prese con omicidi e misteri siciliani, farà idealmente rivaleggiare Saverio Lamanna con il commissario Montalbano? Giriamo la domanda a Claudio Gioè.
«Sarebbe bello, anche se, a parte il fatto che sia Montalbano che Lamanna sono due “eroi” letterari, oltre alla Sicilia, nient’altro li lega. Gaetano Savatteri per permettermi d’inquadrare questo personaggio mi ha parlato di due detective speciali come Ciccio Ingravallo di Carlo Emilio Gadda e Pepe Carvalho di Manuel Vasquez Montalbán, perché nei suoi romanzi non sono tanto gli omicidi che lui racconta, ma piuttosto la Sicilia e la sua atmosfera, che ogni volta si tinge dei colori del giallo e della commedia. I personaggi di Savatteri sono inseriti dentro quella ritualità secolare della socialità siciliana che lui ama descrivere, come ad esempio l’amicizia o le abitudini dei palermitani che, sia che s’incontrino al bar o al ristorante, seguono un decalogo ben preciso. Nei suoi libri Gaetano spesso cita luoghi imperdibili per quelli della sua generazione (ha dieci anni più di me), così in La fabbrica delle Stelle, Lamanna e il suo amico Piccionello, in viaggio per il festival del Cinema di Venezia per un’indagine, decidono di passare per Castellammare del Golfo per una “guantiera” (un vassoio) di cassatelle con la ricotta calda».

Eppure Savatteri in un’intervista racconta di avere cercato di mettere i suoi personaggi al sicuro dai luoghi comuni. Chi ha ragione?
«La tecnica di Savatteri è quella di fare un’immersione totale nei luoghi comuni grazie ai suoi personaggi. Saverio Lamanna, tornato a Palermo dopo anni d’assenza, guarda con sofferenza e critica la società e la cultura siciliana. È uno sguardo sarcastico e comico su quelli che considera “luoghi comuni”, ma lui stesso lo diventa quando, come molti “espatriati” che tornano, pretende dai siciliani una sorta di riscatto morale e civile, saltando a piè pari 150 anni di dimenticanza dello Stato italiano verso la Sicilia, oltre ai motivi che da sempre adducono i siciliani. Peppe Piccionello, suo grande amico, è il vate dei proverbi, il principe dei retaggi culturali siciliani; lui vive in ciabattelle infradito e pantaloni corti, perché a Palermo e in Sicilia si sa, non è mai inverno! Tuttavia la sua perspicacia e la sua furbizia popolare si rivelano preziose per le indagini di Lamanna. Piccionello e Lamanna si completano: il primo è tutto tradizione; il secondo è scettico e battutaro, l’alchimia tra loro funziona grazie alla sincera amicizia che li lega, divertente e a tratti commovente».
Ma per interpretare Saverio Lamanna ha dovuto imparare a maneggiare una pistola, o qualche tecnica di sopravvivenza?
«Fortunatamente Lamanna come giornalista investigativo non porta pistole e questo mi ha fatto felice perché non amo le armi, tanto che a suo tempo dovendo fare il soldato optai per il Servizio Civile e finì a lavorare sulle ambulanze. Niente tecniche di sopravvivenza, a meno che lei non alluda alla mia cucina e, come cuoco, a parte la “minestra di tenerumi” che è la mia specialità, so fare poche cose».

Insomma è una sorta di Robert Redford in I tre giorni del Condor, visto che ha anche i capelli rossi e gli occhi azzurri?
«Sono l’unico in famiglia ad avere questi colori che dimostrano, come nel caso di molti siciliani, un’ascendenza Normanna. Anche Santa Rosalia era bionda con gli occhi azzurri. Quanto a Redford è l’idolo di mia nonna ed è da quando sono entrato all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico a Roma che lei mi suggerisce di schiarirmi i capelli con delle maschere di camomilla per averli dello stesso colore di quelli di Redford. Ma non ho ceduto».
Invece i baffi sono il retaggio di qualche personaggio?
«No, sono nati dalla pigrizia, come la mia barba, immancabile nei periodi in cui non lavoro perché non la taglio tutti i giorni. Tuttavia noi attori non siamo padroni del nostro “look” che è la prima cosa che registi e costumisti analizzano e cambiano a seconda del personaggio che ti vogliono affidare. Poi c’è il modo di parlare e l’accento. Agli inizi credevo di dover nascondere quello palermitano e invece è finita che ci ho lavorato molto per dargli più sfumature nei tanti personaggi siciliani che ho interpretato da I Cento Passi a La Mafia uccide solo d’estate sino a Totò Riina nel Capo dei Capi. Lì sfoggiavo anche due leggeri baffetti come li portava lui da giovane, mentre il suo invecchiamento mi costava quattro ore e mezzo di trucco ogni mattina. Un incubo, ma era niente in confronto alla fatica che avevo fatto per rendere il personaggio di Riina, del quale in realtà si sapeva ben poco, sia del carattere, che del modo di pensare».
Lei ebbe critiche entusiaste per quella interpretazione. Ma cosa l’ha riportata a vivere a Palermo?
«Mi mancavano i miei affetti, i miei amici e quel rapporto sincero che si crea con gente che conosci da sempre. Me ne sono andato a Roma a diciott’anni quando la curiosità e la voglia di cambiare rendono tutto bello. Adesso so apprezzare le passeggiate “à mare” e una socialità con risvolti da paese come le mattinate al bar con gli amici a guardare il “passio”, mentre si commenta il giornale. Però come Lamanna sento parlare di soldi sperperati, di occasioni sfumate e credo che le cose non cambieranno in Sicilia sino a quando i siciliani non si ribelleranno ai loro governanti sull’isola. Ma credo anche che se il governo italiano non recupera l’economia del Sud, questa Italia a due velocità non potrà risollevarsi davvero. Sogno una Sicilia come Maiorca, un paradiso da cartolina, d’altronde abbiamo tutto: il buon clima, un’ottima cucina e una natura meravigliosa che finalmente mi godo».