La riflessione

Cosa direbbe Umberto Eco di ciò che stiamo vivendo?

Ci mancano i suoi ragionamenti che ci avrebbero permesso di leggere con intelligenza e nitidezza il presente
Umberto Eco (1932-2016). © CDT/ARCHIVIO
Roberto Cotroneo
29.10.2020 06:00

Mi manca Umberto Eco. Mi manca in generale, come a mol-tissimi, perché è stato un punto di riferimento culturale e intellettuale senza paragoni. Mi manca la sua amicizia. E mi manca il poter pensare ogni tanto, quando il mondo si fa illeggibile, più illeggibile di quanto si possa mai immaginare: cosa ne avrebbe pensato Umberto? Cosa ci avrebbe detto di questa storia terribile che stiamo attraversando? Dove avrebbe trovato i riferimenti per leggere con la sua solita nitidezza e intelligenza il nostro presente? In che modo ci avrebbe acceso un pensiero, strappato un sorriso, regalato una consolazione di fronte a quello che stiamo vivendo?

Nessuno si sta chiedendo come cambieranno le nostre menti. Quando tutto questo che siamo costretti a subire finirà. Nessuno si sta chiedendo dove abbiamo sepolto il passato e il futuro. Eco lo avrebbe fatto, si sarebbe forse chiesto cosa possiamo prendere da questo presente. Come dobbiamo maneggiarlo. Come possono cambiare i punti di riferimento. Attraverso quali percorsi.

Vicinanza e distanza

La verità è che siamo smarriti per una ragione molto semplice. Nessuno ha dubbi che con fatica torneremo a essere quello che siamo sempre stati. Ma attraverso quale cambiamento dentro di noi. Cosa intenderemo per distanza e vicinanza in futuro? Come penseremo il domani, e attraverso quale nuovo paradigma affronteremo i temi del passato? È probabile che il passato si sia allontanato in modo sorprendente. Quando accade qualcosa di estremamente forte, inedito, difficile, il passato cambia, muta, si cristallizza dentro di noi in modo diverso. Abbiamo l’abitudine di pensare che il presente è fluido, il futuro è qualcosa che sta per farsi, mentre il passato è un monolite, qualcosa di immutabile, è quello che è avvenuto. Possiamo rileggerlo il passato. Ma è un libro con pagine già scritte su cui si possono fare commenti infiniti. Ma senza che possa cambiare, senza che ci possa essere qualsiasi forma di mutamento.

Negli ultimi anni il passato è diventato un affare interessan-te. È un po’ come un antiquariato dell’anima. Si cercano cose che nobilitino il nostro presente, si costruiscono progetti di nostalgia che in realtà avrebbero poco senso, si utilizza il passato prossimo e lo si allontana per metterci dentro emozioni. Tutto si fa languore, rimpianto, nostalgia. Si pensi solo ai fenomeni di revival musicali, nati negli anni Ottanta, che ripescavano vecchie cose che nessuno peraltro ricordava e rimpiangeva. Oppure fenomeni come il ripristinare vecchi treni come l’Orient-Express. Il cercare di ricreare atmosfere lontane, ma anche vicine. Sono sempre stati svaghi, fughe dal presente, giochi di ruolo interiori che ci hanno aiutato ad allungare la memoria, a dilatare il presente, renderlo più ricco. Più denso.

Il giochetto di Facebook

Il web però ha confuso tutto. Sul web passato e presente convivono, è tutto lineare. Non sappiamo alle volte se quello che leggiamo è stato scritto dieci anni fa oppure un’ora fa. Se quella foto che ci appare è recente o di un lontano passato. Il web porta tutto al presente. E per reazione è anche responsabile di questo culto di un passato recentissimo che si esprime con quel giochetto di Facebook che ti propone di ripubblicare i post di un anno precedente, come fossero un patrimonio prezioso e nostalgico. Oggi tutto questo si smarrisce in un presente che si è scollato da ogni passato, perché è un presente che non assomiglia a nulla di quanto accaduto prima. E anche se in molti ripropongono pandemie come la spagnola, o addirittura le pestilenze di manzonia-na memoria, sono soltanto dei post it senza importanza. Tutto il sistema che riusciva ad allargarci lo sguardo, portando, come recita T.S. Eliot, il tempo passato e presente nel tempo futuro, si è inceppato. È entrato in crisi. Il presente oggi è un immenso luogo dove non siamo capaci di ritrovarci, il passato è tornato fermo, lontano, freddo, come irraggiungibile per come siamo e quello che viviamo. E il futuro sembra un palcoscenico vuoto. Dove mancano gli attori. È così che cerchi qualcosa che ti spieghi, un romanzo che ti dica qualcosa.

Ho cercato delle risposte in un libro di Julian Barnes pubblicato nel 2013: Livelli di vita, il suo libro più doloroso, intenso. Credo che sia ancora il suo più bello e credo che dovremo riprendere l’abitudine, anche sui giornali, di parlare di libri anche quando non sono appena usciti. Libri che restano. Che stanno lì a dirci qualcosa di noi. In questo libro Julian Barnes racconta della perdita della moglie: l’agente letterario Pat Kavanagh. La sua scrittura è memoria, vita cercata oltre ogni possibilità del dolore, attesa, attimi che si fanno lenti e si svolgono come un gomitolo. Scrittura di sé quella di Barnes, ma anche scrittura per noi tutti: «Metti insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia». È l’incipit del romanzo. Vuol dire fondersi, mescolarsi, esistere davvero. Un libro di una intimità reale che ci in-segna a fuggire dalla follia delle intimità distanti di questo nuovo tempo che siamo costretti a vivere.