Cent'anni fa

Crolla la diga del Gleno, almeno 600 persone uccise o travolte nel disastro

Le notizie del 4 dicembre 1923
Quel che rimane al giorno d'oggi della diga del Gleno, con lo squarcio lasciato dal crollo del 1923. © Shutterstock
Nicola Bottani
Nicola Bottani
04.12.2023 06:00

Lo spaventoso disastro in Val di Scalve
Le notizie che giungono man mano sulla catastrofe di Val di Scalve aggravano le proporzioni del disastro. Tre paesi, una diecina di frazioni, un centinaio di case, di ville, una chiesa, un palazzo municipale, cinque grandi centrali elettriche, diversi grandi stabilimenti travolti dalla furia ciclopica delle acque, più di 600 persone uccise sul posto o travolte nel disastro; questo il doloroso bilancio della sciagura che ha gettato in lutto la forte nazione italiana. Sui luoghi del disastro si sono recate le autorità governative e il Re, il quale ha portato ovunque la sua parola confortatrice.

Gli episodi che vengono man mano alla luce sono dei più impressionanti. Intere famiglie sorprese in casa sono state uccise, ognuno dei pochi superstiti piange un gran numero di congiunti. I superstiti, alcuni dei quali sono impazziti, girano inebetiti dallo spavento per i luoghi battuti dalla sventura, frugando fra il fango per cercare i cadaveri dei propri cari. Finora sono stati rimessi alla luce circa 450 cadaveri.

Quando la diga cedette (nota di 100 anni dopo: quella del Gleno, appunto in Val di Scalve) e il fiotto immane dell’acqua si sfasciò con la violenza della sua massa che precipitava da mille e seicento metri di altezza, non fu più possibile correre al riparo. La colata si diffuse enorme, in un solo getto distruttore. Giù per Bueggio, sfiorò Vilminore, si abbattè su Azzone e Dezzo, si moltiplicò in furore ed in potenza per Colle, Dazze e Mazzunno, rimbalzò sulla Val d’Angolo deviando verso Gorzone. Incanalata, ormai, in una fiumana maledetta, sfociò sull’Oglio, schiantandosi alla piana su Corna e Darfo. E l’Oglio la diffuse straripando. La portò fino al lago di Iseo.

Nella caduta vertiginosa gli abitanti, sorpresi quasi nel sonno, furono sommersi, travolti, sbalzati nella valanga. La centrale idroelettrica del Dezzo scoppiò con grande fragore, e quasi immediatamente cedettero sotto lo scroscio i due impianti collegati e quello della Ferriera di Voltri e l’altro di Mazzunno, del quale non rimasero in piedi che le turbine annerite. I materiali travolti nella cascata immane, alberi e ponti, travi e mattoni, macigni e suppellettili, le cose più diverse e più autentiche nei rispettivi valori di grandezza e di quantità rotolavano verso la confluenza del Dezzo coll’Oglio.

Ma giunta in piano, nel primo enorme zampillo, che creò subito un’ondata di una trentina di metri, anche i tubi della conduttura forzata delle Ferriere di Volti scoppiarono con un tonfo secco, si sbriciolarono, furono proiettati ad inverosimile distanza. E la colata oceanica si diffuse, coprì le case e il grande padiglione della Ferriera. Si diramò in fiumiciattoli furibondi, scatenandosi su Corna in una furia di devastazione e d’orrore.

Il grido della popolazione si fece veramente sentire, qui. Qui, soltanto qualcuno potè mettersi in salvo. S’udirono invocazioni disperate: “Donne, salvatevi!”. Ed uscirono dalle case femmine seminude e urlanti, coi bambini al petto e le chiome scomposte. “Ven giò el Dezz! Ven giò el Dezz!”.

Turbine di pietre e d’acqua. Massicci macigni di pietra rossa, che serve alle costruzioni paesane, staccati dalla montagna madre, erano precipitati su Corna. Il lato sinistro della Ferriera cedette col suo padiglione immenso. Le mura si associarono e le tettoie si adagiarono naturalmente sul terreno, come coperture di sepolcri. Le case nuove, le case degli impiegati, furono frantumate, livellate, dalla fantastica pioggia di pietre. Nessuna traccia le ricorda, oggi. L’acqua e il fango hanno colmato le fosse, e formato delle dune di rena. E il fiume vi gorgoglia rossigno e minacciante.

Rivista Italiana
Sul disastro di Val di Scalve il Governo ha ordinato una inchiesta per stabilire le eventuali responsabilità. Si tratta di stabilire le condizioni della diga di Gleno e se il materiale usato e i criteri seguiti nella costruzione della diga erano tali da offrire serie garanzie di resistenza. Pare che la diga sia stata fatta funzionare senza regolare autorizzazione governativa e che la Dittà Viganò, costruttrice della diga, non si sia attenuta alle esigenze dell’autorità.

D’Annunzio visita i luoghi del disastro
 Bergamo, 4 ag (Havas) – D’Annunzio ha visitato a Darfo i feriti trasportati a Darfo all’ospedale. Egli visitò pure le rovine delle officine metallurgiche che presentano un aspetto impressionante. Prima di partire D’Annunzio espresse la convinzione che tutti i fascisti si impegneranno per la ricostruzione dei villaggi distrutti e per permettere di ricuperare tutte le energie necessarie alla produzione. Egli si propone di rivolgere, in questo senso, un messaggio alla Nazione. D’Annunzio ha versato, quale offerta personale, lire 6500 per le vittime della catastrofe. Egli ripartì nel pomeriggio per Gardone. Il numero dei cadaveri ritrovati ammonta a 200. Le pioggie abbondanti e lo scioglimento delle nevi hanno di nuovo ingrossato le acque della valle di Dezzo che si fanno minacciose.

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