Musica

«Due amici che hanno fatto della loro diversità un punto di forza»

Nostra intervista a Maurizio Vandelli protagonista, sabato 20 luglio, assieme a Shel Shapiro dei Bellinzona Beatles Days 2019
Enrico Giorgetti
19.07.2019 09:39

Sarà uno dei protagonisti della XIX edizione dei Bellinzona Beatles Day, Maurizio Vandelli, iconica figura del beat e della musica italiana in generale durante gli anni Sessanta. L’ex leader dell’Equipe 84 si esibirà infatti sabato 20 luglio, assieme ad un altro protagonista di quella magica stagione, Shel Shapiro (ex Rokes), con uno show dal titolo «Love & Peace» che rievocherà, tra canzoni e immagini, una delle più felici stagioni della musica e della cultura del secolo scorso. Lo abbiamo intervistato.

Partiamo dal fatto che, sabato sera si esibirà all’interno di una rassegna chiamata «Bellinzona Beatles Days» per chiederle cosa hanno rappresentato per lei i Beatles.
«Impossibile non essere loro fan. Potevo anche impazzire per quei ragazzotti di Liverpool, erano straordinari, non sbagliavano un pezzo. Rappresentavano la novità assoluta, si erano inventati un genere completamente diverso, avevano stravolto il mondo musicale. Credo non esista nessun artista al mondo che non sia stato ispirato in qualcosa dai Beatles».

E cosa proporrete a Bellinzona lei e Shel Shapiro?
«Cercheremo di travolgere il pubblico con un concerto energico di oltre due ore. Si tratta di una produzione di altissima qualità, suggestiva ed innovativa da un punto di vista tecnologico e scenograficamente ricca. Faremo rivivere la storia delle nostre carriere, non solo Equipe 84 e The Rokes, parlando anche dei nostri percorsi individuali che spero abbiano dato qualcosa alla scena musicale italiana. Immagini e video fortemente simbolici e rappresentativi che verranno proiettati su un grande schermo di otto metri, mentre la nostra proverbiale rivalità verrà affrontata con ironia, come esempio di due identità e personalità artistiche che della differenza hanno fatto un punto di forza, unendosi per un progetto comune. Faremo i pezzi più famosi del nostro vasto e storico repertorio che canteremo spesso insieme oppure alternandoci: io canto un pezzo di Shel, lui canta un pezzo mio. Poi faremo i brani che hanno significato qualcosa nella nostra vita. La musica sarà il cardine di tutto per regalare le emozioni evocate dal nostro repertorio che penso sia parte integrante dell’immaginario collettivo di tante persone. I brani contenuti nel nostro ultimo album Love and Peace avranno un ruolo centrale nella scaletta (Che colpa abbiamo noi; Tutta mia la città; Un angelo blu; Bang bang; È la pioggia che va; Io ho in mente te; Bisogna saper perdere; Io vivrò senza te; You raise me up, When you walk in the room; Piangi con me; Nel cuore e nell’anima; 29 settembre), insieme a tanti classici nostri e a cover di hit italiane ed internazionali legate alla nostra storia».

Ci anticipa una di queste canzoni che hanno avuto un significato speciale per lei?
«Ho collaborato molto con Lucio Battisti, in più ho inciso pezzi che non mi appartenevano. La parte che esula dal mio repertorio ha attinenza con Lucio. Per quanto riguarda Shel ci saranno invece molti pezzi in inglese ma preferisco non svelare tutto. Anche stavolta penso che il pubblico ticinese apprezzi il nostro show, come avvenne tantissimi anni fa. Io e Shel siamo infatti saliti insieme sul palco per la prima volta proprio a Bellinzona in un festival organizzato da Giorgio Fieschi. Era il 1994 e proprio come stavolta in piazza del Sole. Torniamo dunque nella città che ha tenuto a battesimo la nostra unione sul palco e quando siamo dal vivo riusciamo ancora a sentire il brivido e l’energia di una volta. All’epoca non avremmo mai pensato di essere ancora qui mezzo secolo dopo. Il momento è però quello giusto avendo un compito e un dovere che alla nostra età è quello di emozionare il prossimo».

Torniamo indietro nel tempo. Nel 1971 l’Equipe 84 con la canzone Casa mia affrontava il tema dell’emigrazione.
«Allora era l’emigrazione che riguardava e riguarda ancora oggi molti giovani italiani. Non si parlava ancora di immigrazione clandestina. Poteva anche significare il ritorno a casa dal servizio militare che un tempo era lunghissimo. Un pezzo che faremo anche sabato sera».

Come vive le nuove espressioni musicali che coinvolgono i giovani di oggi?
«La musica è fatta di corsi e ricorsi per cui chissà... Non sono contro le nuove sperimentazioni musicali, anzi. Sono un futurista, mi piace tutto quello che è nuovo ed apprezzo i rapper. È che alcuni di loro nei dischi sono straordinari, ma se vai a sentirli dal vivo ti spari un colpo. Molti sono bravi a scrivere testi ma essere un minimo intonati non sanno neppure cosa significhi. Sono innamorato cotto dell’ultima canzone di J-Ax dedicata al figlio intitolata Tutto tua madre. Vado pazzo per Jovanotti, Ghali mi piace moltissimo. Ce ne sono di bravi.»

Avete scritto e interpretato pezzi intramontabili. Sarà così anche per gli artisti di quest’epoca?
«Non sono in grado di dire se le composizioni di questi ragazzi dureranno nel tempo. Spero tanto per loro che ciò avvenga. È molto cambiata la produzione musicale; adesso basta un computer e ti puoi produrre i dischi in casa. Un tempo se non trovavi qualcuno che ti pagava gli studi di incisione, tu artista non sapevi che fare».

Sanremo ’71, come Equipe 84 siete arrivati terzi cantando 4 marzo 1943 di Lucio Dalla. Ci regali un ricordo di lui.
«Lucio era un personaggio straordinario, simpaticissimo, molto aperto. Era un uomo particolare. Lui andava a scrivere le sue canzoni in appartamenti o case che godevano di panorami incredibili, poi tornava con dei capolavori. Un grandissimo tra i grandi: ho molto sofferto quando ci ha lasciato».

Lei ha anche fatto parte di una band in cui Francesco Guccini era chitarrista...
«Vero, sono entrato nella band, che poi diventò l’Equipe 84, nel periodo in cui Guccini dovette andarsene per effettuare il servizio militare. Io l’ho dunque sostituito».

Poi lui scrisse uno dei pezzi più importanti della musica italiana, Auschwitz.
«Il testo l’ha scritto lui, alla musica ho collaborato anch’io. In una simile canzone (anche se il termine canzone per questo capolavoro è riduttivo) è il testo che conta. Siamo stati come Equipe 84 i primi a proporla, ancora prima di lui e insieme ai Nomadi. Quando ci siamo messi a collaborare con Francesco ed abbiamo sentito le cose sue gli abbiamo detto: questa la facciamo noi e lui era ben felice in quanto a quel momento noi eravamo un gruppo di successo e lui non era ancora venuto fuori nella sua grandezza».

All’epoca non avremmo mai pensato di essere ancora qui mezzo secolo dopo. Il momento è però quello giusto avendo un compito e un dovere che alla nostra età è quello di emozionare il prossimo

E che può dire del percorso compiuto con l’Equipe 84?
«Che siamo nati nel periodo sbagliato. Il mio sogno era quello di fare un concerto alla Vasco Rossi a Modena. Ma allora non c’erano i mezzi; dovevamo andare in giro con gli amplificatori, e in quanto a luci, usare quelle che c’erano. Purtroppo allora non sono riuscito a realizzare un mio desiderio mentre ora con Shel ci siamo vicini».

Parliamo ora del disco realizzato con Shel: Love & Peace...
«Per Shel ha ancora lo stesso significato che negli anni ’60, per me è ricordarsi di non picchiarci sul palco (e scoppia in una risata). Io e lui abbiamo due caratteri totalmente diversi. Se io dico rosso, per lui è nero. Non siamo mai d’accordo su nulla. È così. Ci lega il fatto di essere stati negli anni ’60 nei due gruppi più importanti in Italia».

E i prossimi 50 anni di Maurizio Vandelli come saranno?
«A chi mi fa questa domanda lo mando a quel paese (espressione modificata dalla redazione in quanto l’originale era più colorita – ndr) . A 75 anni cosa vuoi che ti dica? Spero di andare avanti ancora un po’, c’è ancora una pazza idea che forse realizzeremo insieme. Alla nostra età bisogna infatti andarci con i piedi di piombo nel fare progetti a lunga scadenza. Siamo vecchi, l’anagrafe non mente. La mia vita è alle spalle, non davanti a me».