Fra la penna di Gavroche e il frate inviato alla corte del Gran Khan
La Nota
Cose, naturalmente, d’America. Nelle carceri di New York ci sono due condannati a morte i quali aspettano di essere portati sulla sedia elettrica. I due hanno non solo una condanna a morte, ma anche una bella voce.
Giusto quello che occorrerebbe per fare una bella morte, magari con un potente do di petto, sul teatro, ma di scarsa utilità per morire sulla sedia elettrica.
Ecco ciò che avviene: Un Comitato di beneficenza ha bisogno di due buoni tenori per uno spettacolo caritatevole che si terrà a Natale; i due condannati a morte andrebbero bene.
Che fa il Comitato? Scrittura i due artisti per il concerto natalizio e a furia di pressioni e di preghiere ottiene che la esecuzione della condanna venga prorogata a dopo le feste di Natale per dar modo ai due artisti di partecipare al concerto benefico.
Si può immaginare con quanto entusiasmo e con quale fervore lirico i due condannati si prepararono al concerto natalizio. C’è da scommettere che contano i giorni che mancano a Natale come fanno i ragazzi che aspettano il bambino. E quel concerto? Quasi come ad una messa da morto.
Terminato il concerto di solito si fanno «restare serviti» gli artisti nel salottino vicino per il rinfresco; i due tenori, invece, saranno pregati di «restare serviti» sulla sedia elettrica. Potessero rifiutare, come si fa di solito! «No, grazie, prima dei pasti non piglio mai niente». «Non si disturbi, prego, come se avessi accettato». O magari ad una delle cortesi offerte del Comitato – «Desiderano qualcosa?» – poter rispondere: «Grazie, desidereremmo imparare l’arabo». Oppure: «Troppo gentili, grazie, vorremmo vedere il Papa».
Ed in fondo non avrebbero torno, poveracci, perché proprio quella sedia elettrica messa come un dessert ad un concerto di beneficenza è una stonatura che due temperamenti artistici non potrebbero in tutta coscienza tollerare.
Gavroche
Stralci
Dopo che i tartari, sotto la guida di Gingis-Kan (Gengis Khan, nota di 100 anni dopo), ebbero invaso e soggiogato la Cina settentrionale e la Persia, seriamente minacciando anche la Europa cristiana, il pontefice Innocenzo IV concepì un progetto ardito, e che potrebbe anche chiamarsi geniale: tentare la conversione dei mongoli e cercare almeno di deviarli dall’Europa per volgerli sull’Arabia, la Siria, l’Asia Minore contro i mussulmani. Di eseguire questa missione fu incaricato un frate italiano, del quale parla la rivista «Fantasma». Fra Giovanni, nato nel 1200 nel Piano di Carpini, ora Magione, presso Perugia, era stato seguace di S. Francesco, ed aveva visitato come missionario Tunisi e la Spagna.
Questo frate, che anche come Provinciale della Germania aveva dato prova di tatto singolare e di grande dottrina, fu chiamato alla Corte pontificia, donde partiva, ricevute le istruzioni per la missione, alla volta della Polonia. Qui fece provvista di pelli di castoro per donarle al Gran Kan e contrasse amicizia col russo Vasiliko, col quale si recò a Mosca per tentare la conciliazione di quella Chiesa con la latina. Da Mosca raggiungeva Kiew e, superata una grave malattia, procedeva fino ai confini della Tartaria. Abboccatosi col principe mongolo Corenza e da lui scortato al Kan Batù, ottenne il permesso di recarsi dal Gran Kan, quindi attraversò il Kubam, la Circassia, l’Armenia, studiando i vari popoli che incontrava e lasciandoci notizia dei loro usi e dei loro costumi.
Il 23 luglio del 1246 Pian Carpino (nota di 100 anni dopo: era fra Giovanni da Pian del Carpine, da qui il refuso di allora in questo articolo del CdT) e i suoi compagni arrivarono finalmente presso Carakorum, capitale del Gran Kan Guink, succeduto al grande Octai, e facevano in tempo a partecipare, insieme ad altri tremila ambasciatori, alla cerimonia dell’incoronazione. La festa descrittaci dal nostro frate riuscì veramente solenne. Sorgeva in una grande pianura la tenda del Gran Kan, cinta di uno steccato di vari colori, presso cui stava la nobiltà tartara a cavallo, con selle e briglie tempestate di gemme e con ornati d’oro massiccio. Dopo un mese l’adunata mutò accampamento, a dodici ore di distanza da Carakorum.
Qui il legato papale ebbe fra tutti gli ambasciatori un posto d’onore, insieme al principe Ieroslav di Russia, nelle cerimonie imponenti e bizzarre che si svolsero per la festa dell’incoronazione. Dal Gran Kan, Pian Carpino si congedava il 13 novembre, ottenendo una risposta piuttosto evasiva alle proposte del Pontefice.
Fece il viaggio di ritorno in compagnia di mercanti genovesi, pisani e veneziani, sparsi in quelle terre lontane, e dopo aver molto sofferto per la stagione invernale, raggiungeva Kiew il 9 giugno del 1247 e nell’autunno si presentava al Papa in Avignone per rendergli conto del suo viaggio. Di questo fu anche pubblicato un compendio latino nello «Speculum Historicum» di Vincenzo di Beauvais.
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