Cent'anni fa

Gavroche e il metodo di autoconvincimento del signor Coué

Le notizie del 12 aprile 1925
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Nicola Bottani
Nicola Bottani
12.04.2025 06:00

La Nota

Bravo signor Coué, venga, venga ad insegnare anche a noi il modo per guarire senza medici e senza farmacisti e la maniera per distruggere quelle piante parassitarie del dolore che sono i mali immaginari.

Una buona percentuale delle malattie sono opera speciale della immaginazione, la quale ha a sua disposizione un vastissimo repertorio di mali: con un pizzico di immaginazione, uno – per esempio – che si metta a leggere un trattato di medicina, non dura fatica a scoprire che ha indosso i sintomi della tisi, quelli della malattia di cuore, cancro, tumori, paralisi e tutto un diavolerio di malattie inguaribili; ci sono delle persone che sono delle cliniche ambulanti: hanno tutti i mali possibili ed immaginabili, sentono i sintomi di tutte le più orripilanti malattie; ciononostante, per quanto, a sentirli, sono lì per spirare da un minuto all’altro, mangiano, bevono e stanno – come si dice – da Papi.

A questa gente il signor Coué insegna di ripeter ogni sera e ogni mattina: «Io sto meglio, io sto meglio», finchè si convincano di star bene davvero, anche perchè in realtà non sono mai stati male.

Il signor Coué, veramente, non è lo scopritore della teoria per guarire le malattie immaginarie; prima di lui la teoria la conoscevano e la praticavano certi medici e certi farmacisti i quali, di comune accordo, mantenevano il più rigoroso segreto; ordinavano all’ammalato una polverina, un’acqua (H. 2=0, a gocce), un succo qualsiasi, delle pillole: l’ammalato le prendeva con gran fede e con altrettanta immaginazione e… – si capisce – guariva, e pagava il conto.

A proposito di malattie immaginarie, chissà se il metodo Coué lo si può applicare anche alle malattie morali. C’è, per esempio, quella certa malattia che io definirei la elefantiasi dell’Io, per la quale uno deve in sè tutto grande, tutto colossale: immensi la intelligenza, l’ingegno, l’attività, i meriti di mente e di cuore. Costui, tutte volte che si guarda nello specchio, ci vede riflessa la figura di un grande uomo, anzi di un superuomo, e quando osserva il proprio prossimo, lo vede, sempre per effetto della elefantiasi, così piccolo, così meschino che ne sente sprezzo o pietà.

Ora costui, secondo il metodo Coué, per guarire della sua elefantiasi dovrebbe abituarsi a ripetere mattina e sera: «Io sono un asino». Ed in capo a un mese sarebbe guarito. Ma il guaio, nella cura, sta nel trovare la forza di ripetere ogni giorno la formula benefica! Gavroche

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