Mostre

Georges de La Tour, il Caravaggio francese

Palazzo Reale a Milano ospita fino a settembre la prima retrospettiva italiana dedicata ad uno dei maestri del Seicento che solo da poco ha recuperato il suo status dopo quasi tre secoli di inspiegabile oblio
«Rissa tra musicisti», Georges de La Tour, 1625-30. © Shutterstock
Simona Ostinelli
13.07.2020 06:00

Fra le tante esposizioni sopravvissute alla pandemia e che hanno riaperto nelle scorse settimane dopo il lungo lockdown, la mostra «Georges de La Tour. L’Europa della luce» a Palazzo Reale a Milano si configura come un appuntamento irrinunciabile. E non solo perché La Tour è uno dei grandi artisti del Seicento europeo, soprannominato il «Caravaggio francese» per la qualità della sua pittura, o perché la rassegna milanese costituisce la prima retrospettiva mai dedicata all’artista in Italia. La Tour è un autore che non finisce di stupire, di cui non se ne ha mai abbastanza, tanto da suscitare una curiosità profonda e divenire una sorta di necessità.

È stato definito «il pittore che nacque due volte»: la prima a Vic-sur-Seille, piccolo centro in Lorena, nel 1593, e la seconda a Parigi, nel 1934, quando viene riscoperto. In mezzo quasi tre secoli d’oblio, durante i quali praticamente scompare, nonostante la popolarità e la fortuna che lo hanno accompagnato in vita: non una menzione nei libri, non il ritrovamento di un pagamento o di una commissione, il nulla. Un destino crudele, che ha contribuito ad accrescere nel Novecento la sua fama di artista misterioso, peraltro toccata anche ad altri due grandissimi pittori del Seicento, lo spagnolo El Greco e l’olandese Vermeer.

È stato definito «il pittore che nacque due volte»: nel 1593 e nel 1934 quando fu riscoperto dopo tre secoli di dimenticanza

Una scarna biografia

Scarni, si diceva, i documenti che lo riguardano: a ventiquattro anni sposa la nobile Diane de Nerf, dalla quale ha undici figli, di cui uno, Étienne, seguirà le sue orme. Nel 1640 Georges de La Tour è a Parigi, alla corte di Luigi XIII, e risiede alle Gallerie del Louvre. È amato dai potenti: il Duca Enrico II di Lorena, Gran Ciambellano di Francia, acquista sue opere, così come il Cardinale Richelieu. Ma rimangono senza risposta alcuni importanti interrogativi. Dove si forma l’artista? Chi sono i suoi maestri? Si reca davvero in Italia come l’influenza caravaggesca presente nella sua pittura lascerebbe intuire? Oppure La Tour è sostanzialmente fra i più felici interpreti della cosiddetta «pittura della realtà», ossia di un gusto orientato verso la rappresentazione di figure isolate di santi, di scene popolari e di notturni che andava molto di moda all’epoca e che circolava per l’Europa?

Roberto Longhi, appassionato studioso di Caravaggio, diceva che La Tour era un pittore sorprendente, e in effetti, mettendo a confronto i due artisti, separati anagraficamente da una generazione, non si può che rimarcare la stessa maniera per un realismo in apparenza brutale, l’attenzione per lo scavo psicologico, la messa in scena di tragedia e commedia e l’interesse per i moti dello spirito: insomma, una miscela esplosiva di vita e arte, che li rende assolutamente attuali.

Interessanti raffronti

L’esposizione di Palazzo Reale ha inoltre due grandi pregi: riunisce una quindicina di opere di La Tour su un catalogo che conta soltanto quaranta dipinti a lui attributi e li mette a confronto con altri grandi artisti del suo tempo: da Gherardo delle Notti a Paulus Bor, da Frans Hals a Trophime Bigot, da Carlo Saraceni a Jacques Callot e al cosiddetto Maestro del Lume di Candela.

Il suo realismo è in apparenza brutale con grande attenzione per lo scavo psicologico e i moti di spirito

I due fili conduttori della mostra, una riflessione sul tema della pittura dal naturale e sulle sperimentazioni luministiche, ci portano al centro del mondo di La Tour, un palcoscenico sacro e profano sul quale si intervallano santi e apostoli, suonatori di ghironda e Maddalene penitenti, giocatori di dadi e mendicanti: un’umanità varia, che spinge il visitatore a una compassione partecipata o al desiderio di schierarsi per uno dei contendenti. Due esempi. La Maddalena penitente, proveniente dalla National Gallery di Washington, presenta una giovane donna di profilo vestita in maniera semplice. La stanza è spoglia, a terra e sul tavolo si dispongono degli oggetti quali il teschio, simbolo della vanitas, un libro e uno specchio, nel quale il teschio si riflette. È corretto parlare di un’immagine silenziosa? Quali sono i pensieri che agitano l’animo della Maddalena? La luce della candela taglia i profili e riempie l’atmosfera del dipinto di un senso sacrale, portando verso un mondo costruito per sottrazione.

La pittura della realtà

Ben altra atmosfera si registra ne La rissa tra musici mendicanti del Getty Museum di Los Angeles, vero capolavoro di pittura della realtà. Disposti in primo piano, cinque figure di suonatori ambulanti stanno litigando per accaparrarsi, probabilmente, un angolo della strada dove suonare. Il nucleo della scena vede uno dei contendenti mentre tenta di spruzzare limone negli occhi dell’avversario per svelarne la finta cecità. E anche qui La Tour torna maestro nel descrivere le passioni umane, la violenza dei gesti, la rabbia negli sguardi. Ma subito dopo, La Tour ritorna maestro del silenzio e della meditazione, con l’Educazione della Vergine della Frick Collection di New York e soprattutto con il San Giovanni Battista nel deserto, del Musée Georges de La Tour di Vic-sur-Seille, un capolavoro degli anni tardi, un’opera costruita sull’assenza di spazi e oggetti, assolutamente moderna nella sua ricerca di essenzialità.