«Giochi di luce e d'acqua per raccontare il Messico»
È arrivato in questi giorni a Ginevra, nel gigantesco «chapiteau» allestito alla Plaine de Plainpalais, Luzia, lo spettacolo che Daniele Finzi Pasca ha creato per il Cirque du Soleil: un fantasmagorico show ideato nel 2016 con il quale il drammaturgo e regista ticinese rende omaggio al Messico e che per la prima volta viene presentato al pubblico elvetico. Ne abbiamo parlato con lo stesso Finzi Pasca.
Anzitutto che impressione fa vedere una propria creazione, che ha ottenuto successi in tutto il mondo, arrivare per la prima volta nel proprio Paese e, in particolare, in Romandia che dopo il Ticino è una sorta di seconda casa per la Compagnia Finzi Pasca?
«È una sensazione bellissima, prima di tutto perché queste rappresentazioni sono tra le prime europee di Luzia. Lo spettacolo, nel Vecchio Continente, aveva infatti debuttato poco prima della pandemia a Londra alla Royal Albert Hall, da dove, dopo il lockdown, è ripartito qualche settimana fa. La piazza successiva è stata poi Barcellona e adesso siamo a Ginevra. Quindi c’è davvero tanta emozione, tanto più che a Ginevra è arrivata una quantità di amici per vedere lo show. Un po’ come accadde anni fa a Zurigo quando tantissima gente si spostò dal Ticino per vedere quella che era stata la nostra prima esperienza con il Cirque du Soleil, Corteo...».
Luzia ha quale ambientazione il Messico. Ci può spiegare il perché di questa scelta?
«Dal fatto che ho vissuto praticamente dieci anni in Messico e che la mia Compagnia ha un legame molto profondo con questo Paese. Icaro, per fare un esempio, in Messico è stato rappresentato più di 300 volte e anche tutti gli altri spettacoli da noi realizzati lì sono stati sempre ottimamente accolti. Per non parlare del fatto che la pandemia ci ha colto proprio mentre eravamo in tournée con Donka in Messico. Dunque tra me e il Messico c’è un legame molto stretto. Ma c’è pure un altro aspetto: qualche anno fa il Governo messicano chiese infatti al Cirque du Soleil se non fosse possibile realizzare uno spettacolo che, senza essere troppo folcloristico, fosse in grado di promuovere l’immagine del Paese. Ed è proprio sommando il mio affetto per il Messico e questa richiesta che è nato Luzia...».
Ma a Daniele Finzi Pasca cos’è che piace particolarmente di questa terra?
«Tante cose: è anzitutto un Paese saldamente e profondamente legato alla sua identità, alle sue origini che sono quelle dei nativi, degli indios. Inoltre è un Paese caleidoscopico, in grado di stupire soprattutto chi, come il sottoscritto, viene da una realtà quale quella svizzera, molto più piccola e che si trova dunque spiazzato di fronte alle mille sfaccettature, anche molto diverse tra loro, che gli si presentano davanti».
Uno degli elementi principali che ha scelto in Luzia, per raccontare il Messico è l’acqua: per quale ragione?
«Anzitutto perché ogni volta il Cirque du Soleil mi chiede di rinnovare, di costruire qualcosa di mai visto all’interno delle sue produzioni e del mondo dei grandi eventi e del circo, pur senza mai rinnegare l’anima che caratterizza i suoi spettacoli. E portare l’acqua sulla scena di uno spettacolo di questo tipo rappresenta una novità e una sfida. L’acqua infatti è un elemento insidioso per chi pratica della danza o delle acrobazie (ma anche lo sport - non è un caso infatti che nella pallacanestro quando sul parquet c’è anche solo un po’ di sudore ci si precipita ad asciugare il tutto): fa infatti scivolare e priva gli artisti di quella stabilità di cui hanno bisogno sulla scena. Ci sono dei movimenti che sotto l’acqua, attaccati a un drappeggio bagnato, diventano difficilissimi. Introdurla nello spettacolo ha significato affrontare una sfida sia acrobatica che tecnologica, specie per ricostruire i “cenotes” – le gigantesche pozze d’acqua che nello Yucatan si aprono nel mezzo della selva – all’interno di un tendone. C’è poi il fatto che, per raccontare un Paese così vasto e così complesso come il Messico, bisogna scegliere dei piccoli elementi che lo caratterizzano. E la mia scelta è caduta sulla sua luminosità e sulla sua acqua: quella conservata appunto nei “cenotes” dello Yucatan, ma anche quella che manca nel deserto dello Stato di Sonora dove la gente corre dietro alle nuvole alla ricerca di un punto in cui, grazie a un po’ di pioggia, sentire l’odore dell’umidità. Ecco questi due elementi mi hanno permesso di strutturare un impianto drammaturgico che raccontasse il Messico, tanto che il titolo dello spettacolo, Luzia, non è altro che un acronimo che combina i due vocaboli che definiscono questi due elementi: la luce e, appunto, l’acqua».
Che lettura possiamo dare di questa serie di rappresentazioni di Luzia a Ginevra: è per lei un lavoro di routine e di controllo di una macchina appena riavviata o è il prologo di un nuovo lavoro in seno al Cirque du Soleil?
«Al momento il grosso del lavoro è stato far ripartire il Cirque. Ed è stato uno sforzo non da poco ricostituire le varie équipe dopo due anni di sosta. Oltre a Luzia abbiamo infatti da poco riavviato la gigantesca macchina di Corteo, dietro il quale c’è una storia meravigliosa: sono infatti 17 anni che quello spettacolo sta viaggiando per il mondo. E anche in questo caso non si è trattato di un’operazione semplice. Se ci sono nuovi progetti in vista? Direi di si, nel senso che – fortunatamente – il mondo dello spettacolo sta ripartendo e quindi sia per me che per la mia Compagnia si stanno palesando varie opportunità. Anche all’interno del Cirque du Soleil. Tutto quello che abbiamo fatto in questi anni è stato infatti un successo; a me piace stare con loro, loro mi vogliono bene quindi è chiaro che continueremo a lavorare insieme».