Giorgio Moroder, l’uomo che inventò la «disco»
Ipotizzando un identikit del «re delle discoteche» il primo pensiero sarebbe per un giovane aitante e un po’ estroso che ama la mondanità e non per un ottantenne signore dallo sguardo pacato e soddisfatto da dirigente di banca in pensione, abbastanza refrattario alle luci della ribalta. Invece il vero e unico «king of disco» ha proprio queste fattezze che corrispondono a quelle di Giovanni Giorgio Moroder, italiano di Ortisei (dove è nato otto decenni fa, il 26 aprile 1940), da dove negli anni Sessanta è partito alla volta della Germania prima e dell’America poi per mettere in atto una delle maggiori rivoluzioni all’interno della musica pop del XX secolo, seconda per importanza solo all’avvento del rock’n’roll: la discomusic.
Un ragazzo curioso
Una rivoluzione della quale Giorgio Moroder è stato l’artefice attraverso un percorso artistico tra i più particolari della contemporaneità, per qualità ma anche per metodologia lavorativa in cui l’aspetto «live» era secondario rispetto al certosino e curioso processo sperimentativo effettuato in sala di registrazione dove molta attenzione era riservata ai nuovi suoni di matrice elettronica.
Una curiosità nei confronti del «nuovo» che il giovane Giorgio, proveniente da una famiglia ladina dalla vocazione artistica, ha iniziato a sviluppare già da giovanissimo, formando con alcuni amici un gruppo rock, chiamato Happy Trio, con il quale nei primi anni Sessanta iniziò a girare l’Europa, esibendosi principalmente negli alberghi e venendo a contatto con le scene musicali di tutto il continente. Fino all’approdo, dapprima a Berlino, dove iniziò a lavorare come fonico, e poi a Monaco di Baviera, dove aprì un proprio studio di registrazione iniziando a cimentarsi con i primi sintetizzatori e a confrontarsi con altri musicisti tedeschi anch’essi affascinati dalle nuove possibilità sonore offerte da questi strumenti: parliamo dei vari Tangerine Dream, Cluster, Kraftwerk e di tutti gli esponenti del krautrock, rispetto ai quali però scelse una via meno sperimentale e più «pop».
L’incontro fatale
Che trovò la sua prima vera applicazione pratica nel 1974 dopo l’incontro con una cantante americana trasferitasi in Germania, Donna Summer, dotata di una timbrica particolare, capace di essere erotica e allo stesso tempo di evocare paesaggi onirici. Moroder decise di produrla sperimentando con lei un nuovo concetto di canzone: brani lunghi, ipnotici in cui la cantante liberava la propria carica sensuale. I principali esempi sono Love to Love You Baby e I Feel Love: due lunghe suite che si imposero rapidamente nel mondo delle discoteche, rivoluzionando la musica da ballo, fino a quel momento di chiara derivazione funk/R&B e imponendo un genere algido, spaziale, onirico ed estremamente «quadrato»: adattissimo dunque per accompagnare i movimenti del corpo durante il ballo anche dei discotecari più impacciati.
La rivoluzione elettronica
Un genere che non faticò ad imporsi e che tutti, nel giro di pochi mesi, si affrettarono ad imitare, dai produttori disco-funk americani, ai giovani esponenti della new wave britannica, ai rocker che fino a qualche mese prima si gloriavano di stampare sulle copertine dei loro dischi «no synthesizers». E per i quali Giorgio Moroder rappresentava un imprescindibile punto di riferimento, non solo con le produzioni da lui curate, ma anche con i suoi dischi (From Here To Eternity, Knights in White Satin e soprattutto E=MC2, il «primo album elettronico live-to-digital» della storia del pop) zeppi di ritmatissimi e ipnotici suoni sintetici che, partendo dalla lezione dei Kraftwerk, rielaboravano l’elettronica tedesca rendendola più giocosa, fresca e divertente. Ma la rivoluzione imposta dalle produzioni di Moroder andò oltre il puro aspetto sonoro entrando anche in quello del costume: la voluta e sensuale ambiguità di Donna Summer e di altri prodotti della premiata ditta Moroder, la loro chiara e manifesta apertura alla comunità LGBT (in netta contrapposizione al sostanziale machismo che, soprattutto nella seconda metà degli anni Settanta, pervadeva nuova parte del pop-rock), ne fecero il primo vero genere musicale davvero aperto a tutti.
Dalla Baviera a Hollywood
Il successo planetario delle sue produzioni spalancò poi a Giorgio Moroder le porte del mondo del cinema, spingendolo a trasferirsi dalla Baviera a Los Angeles, dove iniziò ad affermarsi nella realizzazione di colonne sonore, un terreno storicamente fertile per i musicisti italiani. Il primo importante lavoro fu la colonna sonora di Fuga di mezzanotte di Alan Parker, il cui grande successo è dovuto anche e soprattutto al lavoro di Moroder che nel 1979 fu premiato con l’Oscar, seguito da altre colonne sonore per film di culto degli anni Ottanta come American Gigolò, Flashdance, Scarface, Top Gun, La storia Infinita. Un lavoro intenso e costantemente orientato verso la sperimentazione che anche nei decenni successivi Moroder non ha mai abbandonato, a testimonianza di un’indomabile energia creativa, che l’ha portato a collaborare con i più grandi nomi del pop internazionale, da Madonna a Britney Spears, da Barbra Streisand a Kylie Minogue, dai Coldplay a Lady Gaga fino a quella, riuscitissima, con i Daft Punk che nel loro fortunato album Random Access Memories gli hanno addiruttura dedicato un brano Giorgio by Moroder, nel quale il produttore parla di sé.
Una seconda giovinezza
Esperienza questa che lo ha poi riportato, alla soglia degli ottant’anni, a rimettersi in gioco in prima persona, con un album intitolato Dèjà vu, ma anche come disc-jockey e infuocati djset che hanno fatto conoscere la sua musica ed il suo inconfondibile sound anche ai figli e ai nipoti dei suoi primi fan. Dj set con i quali Moroder avrebbe voluto festeggiare sulla scena i suoi primi ottant’anni: purtroppo il blocco degli spettacoli in tutto il mondo causa coronavirus lo hanno costretto a rinviare i numerosi impegni previsti in questo periodo. «Ma tornerò presto», ha assicurato in un’intervista rilasciata negli scorsi giorni ad un quotidiano di quell’Italia alla quale è, nonostante il suo girovagare, rimasto molto legato, «perché ho ancora tanta voglia di girare il mondo e di far ballare la gente».
Una discografia sconfinata
Oltre 200 milioni di dischi venduti (tra propri e sue produzioni) e innumerevoli riconoscimenti tra cui spiccano tre premi Oscar e quattro Grammy Awards sono alcuni dati relativi a Giorgio Moroder che in carriera ha messo la propria firma su un centinaio di produzioni. Eccovi una selezione ragionata.
Da solista
Knights in White Satin (1976)
From Here to Eternity (1977)
E=MC2 (1979)
Innovisions (1985)
Déjà Vu (2015)
Colonne sonore
Fuga di mezzanotte (1978)
American Gigolo (1980)
Cat People (1982)
Flashdance (1983)
Scarface (1983)
La storia infinita I e II (1984/1990)
Top Gun (1986)
Over the Top (1987)
Grand Theft Auto (2001/2005)
Produzioni
Donna Summer
Love to Love You Baby/A Love Trilogy/I Remember Yesterday/Bad Girls
Sparks
N.1 in Heaven
Philip Oakey
Together in Electric Dreams
Berlin
Take My Breath Away
Bennato/Nannini
Un’estate italiana
Daft Punk
Giorgio by Moroder