Giorgio Orelli, il nostro grande poeta che rifuggiva dall’ideologia
BELLINZONA - Ricordare l'opera poetica e critica di Giorgio Orelli, scomparso nel 2013. Con questo obiettivo sono state presentate ieri a Palazzo civico a Bellinzona due recentissime pubblicazioni, Tutte le poesie e Giorgio Orelli e il lavoro sulla parola. Il primo (già recensito in questa pagina) è l'Oscar mondadoriano, a cura di Pietro De Marchi, con introduzione di Pier Vincenzo Mengaldo e una bibliografia di Pietro Montorfani, che riunisce per la prima volta tutte le poesie di Orelli comprese nelle quattro principali raccolte da lui pubblicate: L'ora del tempo (Mondadori, Milano 1962), antologia personale che riassume il suo lavoro poetico tra i venti e i quarant'anni, e poi Sinopie (Mondadori, 1977), Spiracoli (Mondadori, 1989) e Il collo dell'anitra (Garzanti, Milano 2001). Alle raccolte «canoniche», seguono i testi che in vario modo sono riconducibili al quinto, incompiuto, libro di poesia, per il quale Orelli aveva da tempo scelto il titolo, dantesco e quanto mai appropriato, L'orlo della vita. «La poesia di Orelli – ha spiegato Pier Vincenzo Mengaldo, forse il maggiore critico letterario italiano vivente – riflette una cultura così diramata e vasta, capace di unire la citazione colta con il calco dialettale. La fusione di queste due ispirazioni è la spontanea nobilitazione creaturale con cui Orelli rivestiva la realtà umile e i suoi abitanti, animali e vegetali, senza nessuno spiegamento di ideologia. Era un poeta del tutto non ideologico, e questo è un suo merito. Sono molti i motivi per cui la sua poesia e il suo ascolto ci mancano molto». Il secondo volume, edito da Interlinea (2015), con introduzione di Massimo Danzi, raccoglie gli atti del convegno svoltosi nel novembre 2014 a Bellinzona. Diciassette saggi e una testimonianza di Giovanni Orelli indicano la strada attraverso il «bosco» orelliano. Perchè Orelli è stato, con grande misura, soprattutto poeta e «lettore», ma anche narratore e traduttore da più lingue: ambiti che avvertiva «complementari» per la centralità riconosciuta alla dimensione «verbale» del testo o, volendo, per l'esigenza profondamente sentita di una costante e rinnovata verifica delle motivazioni linguistiche che governano la parola letteraria, ha commentato Enrico Testa dell'Università di Genova. È proprio di questo «lavoro», cresciuto nei settant'anni che separano le poesie di Né bianco né viola (1943) dagli ultimi libri, che tratta questo volume. Esplorando il suo pensiero sulla lingua e la continua riflessione sulla propria poesia, passando per l'intertestualità: il rapporto con le altre poesie, voce che non poteva assolutamente mancare, fino all'importante legame con il luogo d'origine. «Orelli ci ha consegnato una testimonianza importante. Nell'odierna separazione dei linguaggi, nella confusione babelica, ciò che ci ha lasciato – ha concluso Testa – è sicuramente quello di cui abbiamo più bisogno, poeti e cittadini».