L’intervista/ sergio alcamo

Giorgione e la tempesta delle allegorie

Lo storico dell’arte si cimenta con uno dei quadri più enigmatici di ogni epoca
Giorgio Gasparini o Giorgio da Castelfranco detto il Giorgione La Tempesta, (1502-1503) olio su tela, Venezia, Gallerie dell’Accademia.
Sergio Caroli
06.03.2019 06:00

Selva di simboli e allegorie la Tempesta, il dipinto concordemente attribuito a Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (1477-1510), è forse l’opera più enigmatica della pittura mondiale. Tentare di decrittare le figure o gli episodi concatenandoli in una analisi unitaria, è l’arduo compito che si è imposto Sergio Alcamo nel saggio. «La verità celata. Giorgione, la Tempesta e la salvezza» (Donzelli editore). Sulla base dell’indagine pionieristica, apparsa nel 1978, di Salvatore Settis – autore della succosa e penetrante introduzione al saggio – l’autore, specializzato in Storia dell’arte medievale e moderna all’Università di Roma «La Sapienza», argomenta, con non comune dovizie di fonti pittoriche, storiche e letterarie, la tesi che la Tempesta rappresenterebbe un’allegoria della redenzione dell’umanità. Se l’analisi del dipinto mette in luce, come forse nessuno è riuscito a fare, la profonda religiosità di Giorgione che al tema-principe del Cristianesimo conferisce la possente vitalità della civiltà rinascimentale, la conclusione dell’autore suona così: «Allegoria della redenzione» del Giorgione che «precede di circa un decennio la grande frattura della rivolta luterana, contiene già al suo interno germi di quella necessità di riforma della Chiesa cattolica e della teoria della giustificazione per fede in Gesù Cristo redentore e nel suo sacrificio sulla Croce». Ne abbiamo parlato con Sergio Alcamo.

Professore, su quali fondamenti poggia la sua convinzione che la Tempesta rappresenti una sorta di allegoria della redenzione dell’umanità dal peccato originale?

«Sulla base dei diversi elementi altamente simbolici disseminati nello spazio della tela. Mi riferisco in primo luogo all’asta retta dal giovane uomo, che è interpretabile con il cosiddetto “Bastone di Adamo”. Secondo un’antica tradizione ebraica dopo la cacciata dal Paradiso terrestre il progenitore portò con sé un ramo dell’Albero della conoscenza del bene e del male. Questo ramo-bastone, passato di generazione in generazione, diventò il legno su cui venne crocifisso Gesù, il redentore appunto. Lo stesso albero che portò alla dannazione l’umanità servirà dunque per riscattarla dal peccato originale».

Cosa la induce a pensare che la donna nuda che allatta il bambino rappresenti proprio Eva?

«La corrispondenza iconografica con le numerose rappresentazioni della prima donna. Inoltre l’arbusto che ne cela in parte la nudità riflette il sentimento della vergogna provato dai progenitori subito dopo aver commesso il fallo originario».

Anche il bambino che succhia il latte dal seno della donna seminuda?

«Sì. Ritengo vada identificato non in Caino bensì in Seth, il terzo figlio di Adamo ed Eva) ha un ruolo fondamentale nel processo che porterà alla salvezza del genere umano. Secondo una leggenda medievale Seth si recò in Paradiso per procurarsi l’olio della misericordia con cui alleviare gli ultimi istanti di vita del genitore. Ma l’arcangelo Michele, che l’attendeva sulla soglia, gli diede invece un ramoscello dell’Albero della conoscenza che Seth, al suo ritornò, piantò sulla tomba di Adamo. Da quel ramoscello crebbe un albero da cui deriverà ancora una volta il legno della Croce di Cristo. Infine l’uccello bianco sul tetto di una casa-torre, da me identificato in un pellicano, è un animale altamente emblematico legato a temi di morte e resurrezione da un lato e di redenzione dall’altro».

Quali elementi suffragano la sua tesi che il giovane in abiti rinascimentali appoggiato a un’asta sarebbe Adamo?

«Come ho detto, il bastone a cui si appoggia basta da solo ad identificarlo correttamente. Inoltre c’è un ulteriore dettaglio che mi pare finora non sia mai stato notato: l’uomo ha una corta barba castano-ramata; in molte raffigurazioni Adamo ha proprio questa caratteristica assieme ai capelli lunghi. Lo si può vedere in tante scene della creazione (dalle sculture del duomo di Modena ai mosaici di Monreale) dove compare Dio padre dalle fattezze giovanili assai simili a quelle della prima creatura umana fatta a sua immagine e somiglianza».

Quale è il significato del grosso uccello bianco su un tetto spiovente che sovrasta una casa-torre?

«Nei bestiari medievali il pellicano veniva associato alla figura di Gesù Cristo: per nutrire i propri piccoli, infatti, quest’uccello si ferisce col becco il petto da cui sgorga del sangue sul candido piumaggio. Il riferimento al costato di Gesù piagato per lavare le colpe dell’umanità è palese. In base ad un’ulteriore tradizione il sangue del pellicano riportava a nuova vita il suoi pulcini morti: da qui l’assimilazione alla resurrezione della carne tramite il sacrificio estremo del Cristo».

Perché il fulcro del quadro di Giorgione è il collegamento al legno della Croce di Gesù?

«I diversi elementi del dipinto finora analizzati inducono ad ipotizzare che esso volesse alludere alla leggenda medievale del legno della Croce, parte di un più ampio racconto sule storie della Vera Croce. Sappiamo che il presunto committente dell’opera, Gabriele Vendramin, per tradizione familiare e sentire personale era particolarmente devoto ad una reliquia della Vera Croce conservata nella Scuola di San Giovanni Evangelista. Un suo avo, Andrea Vendramin di Luca, era stato protagonista di un evento miracoloso legato a tale reliquia. Inoltre Gabriele frequentava la chiesa e il convento dei Servi di Maria a Cannaregio, a poca distanza dalla sua abitazione a Santa Fosca; e tale ordine era assai devoto a Cristo crocifisso e alla Madonna addolorata».

Chi era Gabriele Vendramin, il committente di Zorzi?

«Era un patrizio e un ricco mercante di saponi. Collezionista e mecenate, possedeva numerose opere d’arte (dipinti, sculture antiche e moderne, miniature, disegni) che custodiva in un camerino. In contatto con diversi personaggi, laici e religiosi, illustri per cultura, spiritualità e passione per le arti (tra questi un suo cugino di secondo grado, Girolamo Donà, e il cardinale Domenico Grimani, coltissimo ebraista, che da giovane abitava vicino a casa sua presso i Servi), aveva servito pure la Repubblica. Un aspetto della sua personalità tralasciato finora dagli studi è proprio quello religioso. La devozione per la Croce e, al tempo stesso, la personale e intima ricerca di Dio portarono il nobiluomo in gioventù ad esplorare diversi ambiti, ancora leciti prima dello scisma luterano e della Controriforma cattolica».