Ritratto di donna eritrea a Zurigo

Pregevole debutto in Piazza Grande per Semret, opera prima scritta e diretta da Caterina Mona, ticinese che vive e lavora a Zurigo. Produttrice un’altra ticinese, Michela Pini. Il megaschermo all’aperto e la sua vasta platea possono essere impietosi soprattutto con gli artisti considerati «di casa». E Caterina Mona è figlia di una storica giornalista dell’epoca considerata pionieristica della RSI, Tiziana Mona, scomparsa da poco; fu tra l’altro la prima donna in Europa a condurre un telegiornale. Inoltre, la tematica, l’immigrazione e l’integrazione o il respingimento degli stranieri, è di quelle sensibili nella realtà svizzera.
L’eritrea Semret (Lula Mebrathu, artista multidisciplinare e attrice teatrale) vive con la figlia adolescente Joe a Zurigo, lavora come infermiera all’ospedale e vorrebbe diventare levatrice formata. Donna appartata e rigorosa nel lavoro, nasconde un segreto sul padre della ragazza, che quest’ultima è intenzionata a scoprire.
Preciso e senza sbavature il racconto per immagini, fatto prevalentemente di piani fissi (che conferiscono una certa staticità all’azione, ma questo è un peccato veniale trattandosi di un’opera prima), procede introducendo vari focus: il rapporto della protagonista con il proprio lavoro; il rapporto protettivo, amorevole ma qualche volta conflittuale con la figlia; il confronto con altri membri della comunità di origine, in particolare con un uomo (Tedros Teddy Teclebrhan, famoso in Germania come attore e comico, che introduce nel film un’accelerazione di dinamismo) col quale potrebbe forse costruire una nuova famiglia.
Uno degli elementi impalpabili che il film riesce meglio a rendere è la relazione tra questi immigrati e la società in cui si trovano a vivere. Loro vengono da realtà diversissime, a volte – come in questo caso – drammatiche di guerre e sopraffazioni e sono impegnati ad adeguarsi il meglio possibile, cercando anche di ignorare, superare le proprie tradizioni e culture per “mimetizzarsi” tra gli svizzeri, una missione tuttavia impossibile. Il concetto è ben espresso, ad esempio, quando la protagonista viene accusata di una negligenza sul lavoro. Dapprima lei pensa che non ci sia nulla da fare se non accettare il rimprovero, ma poi trova la forza per difendersi e ribattere, squadernando libri per dimostrare che il suo agire è stato corretto, suffragato dai testi scientifici.
È proprio in queste sfumature non enfatizzate dalla trama che Semret mostra una forza tranquilla nel sottolineare le complessità del dossier emigrati, senza fare ricorso ad indignati pamphet, come a volte ci ha abituato su questi delicati tempi il cinema svizzero più impegnato, spesso presente negli anni al Festival di Locarno.
Quindi, buona e credibile sceneggiatura, al servizio di una fiction che ingloba elementi documentaristi che non appesantiscono ma si integrano come puntuali tasselli narrativi. Felice scelta dei volti dei protagonisti, che si rivelano anche attori credibili. Se si può fare un appunto, il finale arriva del tutto a sorpresa, interrompendo il ritmo costante del film come un brusco troncamento dell’azione.
Semret sarà nelle sale cinematografiche ticinesi dal 15 settembre.