Gong Li, attrice dall’oscuro passato tra le spie nella Shanghai del 1941

Un film in bianco e nero Saturday Fiction del pluripremiato regista cinese Lou Ye (Spring Fever; Blind Massage), nella tradizione dei leggendari Studi di Shanghai, città dove è ambientata la storia, riporta in concorso alla 76. Mostra del Cinema di Venezia una iconica e bellissima Gong Li (nel 1992 aveva vinto la Coppa Volpi con La storia di Qiu Ju), che è stata subito al centro dell’attenzione di fotografi e giornalisti da sempre innamorati di questa interprete indimenticabile dei film di Zhang Yimou, un’accoppiata vincente che permise, al cinema cinese di conquistare negli anni ’90, le platee internazionali. Saturday Fiction è un melodramma brulicante di spie e di segreti sul quale domina una femme fatal, un’attrice leggendaria Jean Yo (Gong Li) dal passato pieno di ombre e di mistero che torna a Shanghai dopo una lunga assenza, ufficialmente per interpretare una pièce teatrale messa in scena dal suo indimenticato amante ma, come si sussurra ufficiosamente, per tentare di liberare l’ex marito, prigioniero dei giapponesi che in quel fatidico dicembre del 1941 tramano e si comportano quasi da padroni. Shanghai all’epoca è un’enclave francese dove si affrontano i vari servizi segreti, da quello del governo nazionalista cinese di Nanchino, a quello francese e a quello giapponese, in una girandola di trappole e scaramucce. L’atmosfera del film ricorda Casablanca, ma l’intrigo di motivazioni e sentimenti è così complesso che ci ritroviamo a parteggiare per Gong Li e la sua mira infallibile nella sparatoria clou del film, senza sapere molto bene perché, salvo che ormai tutto è perduto perché i giapponesi quel fatidico sabato 21 dicembre sono riusciti ad attaccare con successo Pearl Harbour. Più realista e attuale Babyteeth dell’australiana Shannon Murphy, impegnata a delineare un melodramma familiare che si sviluppa intorno alla sedicenne Milla (Eliza Scanlen), che divide le sue giornate tra la scuola, le lezioni di musica e le cure contro il cancro. Una lotta impari che già una volta pensava di aver vinto, perciò adesso più della morte ha paura di andarsene senza riuscire a conoscere l’amore e cosa voglia dire amare. L’incontro fortuito con Moses, ventitreenne che vive di espedienti e che le dà attenzione e amicizia, è lo spunto per la sua agognata fuga romantica, mentre i genitori angosciati non sanno se devono proteggerla da questa sorta di colpo di fulmine, o assecondarla. Film drammatico, che malgrado l’importanza del tema, trattato con grande delicatezza, risulta poco significativo.
Di giovani e influencer
Di giovani, delle loro icone e dei loro fantasmi in questi giorni hanno parlato anche il regista Terry Gilliam e il rapper Achille Lauro, che hanno collaborato al cortometraggio Happy Bithday di Lorenzo Giovenga sul fenomeno degli hikikomori, ragazzi che si chiudono nella loro stanza e vivono e comunicano solo attraverso il computer e i social. E dopo il concerto di Achille Lauro, al Lido è stata la volta di Chiara Ferragni, influencer seguita da milioni di follower a braccetto con il marito rapper Fedez. Il documentario Chiara Ferragni-unposted, della regista Elisa Amoruso la racconta. Uno spiraglio inedito sulla stella-imprenditrice dei social, o un ulteriore mattoncino al suo impero che le dà l’occasione per sfilare sul tappeto rosso, moderna Barbie, con tutti i suoi accessori?