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Halston, l’uomo che ridefinì la moda americana

L’ascesa, le cadute, i vizi, le creazioni e lo Studio 54: l’epopea dello stilista a stelle e strisce secondo Netflix e Ewan McGregor
© AP/Atsushi Nishijma
Marcello Pelizzari
17.05.2021 12:02

Ridefinì la moda a stelle e strisce. Meglio: fu la prima, vera icona americana. Parola di sua maestà Karl Lagerfeld. Roy Halston Frowick, meglio noto come Halston, passò alla storia per il suo stile distinto e la sua eleganza. Per i suoi eccessi, anche, a cominciare dalle droghe. E, soprattutto, per le sue creazioni. Che contribuirono all’emancipazione femminile e, appunto, a fare di New York una mecca del vestire bene al netto dei grandi classici (Brooks Brothers in testa). Una New York per nulla intimorita dallo sguardo severo e prevenuto dell’Europa, Parigi in testa.

Pochi giorni fa, Netflix ha lanciato una miniserie dedicata all’epopea di Halston. Basata sul libro Simply Halston di Steven Gaines, creata dal drammaturgo Sharr White e diretta da Daniel Minahan, è prodotta (in parte) da quel volpone di Ryan Murphy. Uno che sa fiutare molto bene l’affare. E infatti la serie funziona. Non completamente, ma funziona. Si regge, manco a dirlo, sul personaggio principale, Halston, interpretato con grande dovizia da Ewan McGregor. L’ascesa, le cadute, i vizi, la persona e il personaggio. Dall’infanzia vissuta in Indiana fino ai fasti dello Studio 54, passando per il cappellino a tamburo indossato da Jacqueline Kennedy e dai continui richiami a mostri sacri come Balenciaga o Ralph Lauren. In mezzo altre icone, da Liza Minnelli a Elsa Peretti, autentica musa ispiratrice. Di Halston, lo stilista, colpiscono i toni, i modi ma soprattutto la ricerca della perfezione. Che diventa, va da sé, ossessione. E allo stesso tempo arte, sofisticatezza, minimalismo. Tutti elementi capaci di convivere, non sempre benissimo ad onor del vero, con l’apertura alla commercializzazione fortemente voluta dal nostro eroe.

Le luci della ribalta

Un capitolo a parte lo merita lo Studio 54, nightclub leggendario e autentico mito nel mito, rifugio e continua fonte di ispirazione per Halston. I suoi abiti, in tessuti innovativi, fluttuavano con una naturalezza incredibile sulla pista da ballo del locale newyorkese. E qui, ancora, torna in gioco l’emancipazione della donna. Ritrovatasi, all’improvviso, libera dal rigore e dall’eleganza di un’epoca oramai al tramonto e in pieno fermento culturale e sociale. Con abiti, dicevamo, nuovi e raffinati. Da indossare in qualsiasi occasione. I contrasti dello stilista, spesso veri conflitti, emergevano chiaramente dai vestiti: capi minimalisti da un lato, creazioni stravaganti dall’altro. Pensiamo a caftani, chemisier, blazer in velluto e dichiarazioni d’amore a Versailles.

I saliscendi

La serie è un continuo saliscendi. Alti e bassi. Vittorie e sconfitte. Halston, potete immaginarlo, finirà ai margini del suo stesso impero. Saranno proprio gli eccessi a portare lo stilista a vendere il suo marchio e, in seguito, a compiere ulteriori passi falsi. Il brand, nonostante i vari tentativi di rilancio, fra cui uno firmato Sarah Jessica Parker, oggi vive nell’ombra. Rimane, però, il mito. Anche grazie a questa serie. Le parole di Lagerfeld tornano di strettissima attualità. Halston, deceduto nel 1990 a causa dell’HIV, ridefinì per davvero la moda americana. E pazienza se la famiglia ha bollato il prodotto come impreciso e fittizio. Carico, insomma, di luoghi comuni. Normale, replichiamo noi. In fondo, si trattava di portare sul piccolo schermo la storia di un artista che per tutta la vita ha fatto a pugni con se stesso. L’esistenza di Halston, a ben vedere, è stata luogo comune e stereotipo. Un artista incapace di contenere i suoi sogni e di mantenere l’equilibrio. Certo, ci saremmo aspettati (forse) qualcosa di più eccentrico da Murphy, in particolare a livello visivo. Ma Halston è un prodotto intrigante, per quanto a tratti asciutto.

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