Musica

Happy Birthday Slowhand

Compie 75 anni il chitarrista inglese Eric Clapton , incontrastato protagonista della scena rock dell’ultimo mezzo secolo – Dagli Yardbirds ai Cream, dalle collaborazioni con i Beatles a Derek & The Dominoes ma anche da solista, un musicista capace di essere sempre al centro della scena – E con un unico grande amore, il blues
Red. Online
30.03.2020 06:00

C’è stato un tempo in cui sui muri delle strade di Londra appariva la scritta «Clapton is God». Strade che Eric Patrick Clapton, nel giorno del suo settantacinquesimo compleanno (è nato infatti il 30 marzo del 1945 a Ripley, cittadina della regione a sud ovest della capitale ) è costretto a disertare, rimanendo rintanato nella sua magione di Ewhurst, nel nativo Surrey, in ottemperanza al decreto emanato da Boris Johnson che impedisce a tutti i «vecchietti» del Regno Unito di uscire per sfuggire al coronavirus. L’ennesima prova per un personaggio che nel corso della sua vita (artistica e privata) di ostacoli ne ha dovuti superare tanti. A partire da quelli di un’infanzia trascorsa con i nonni e una sorella più vecchia di lui, che poi ha scoperto essere in realtà sua madre, rimasta incinta appena sedicenne durante una scappatella con un soldato canadese che Clapton è poi riuscito a ritrovare solo una ventina di anni fa. Ma anche alcuni lutti che l’hanno fatto precipitare nel tunnel della tossicodipendenza e della depressione, la scomparsa di un figlioletto in circostanze drammatiche, fino alla scoperta di una malattia degenerativa che potrebbe comprometterne la mobilità.

Quella volta all’«Innova»

Due rare immagini dell’esibizione degli Yardbirds ed Eric Clapton all’Innovazione di Locarno. Foto di Eliano Galbiati.
Due rare immagini dell’esibizione degli Yardbirds ed Eric Clapton all’Innovazione di Locarno. Foto di Eliano Galbiati.

Ostacoli che però Eric Clapton ha sempre superato grazie al sostegno della musica e della chitarra, strumento che ha cominciato ad imbracciare tredicenne, appassionandosi quasi subito al blues e sviluppando una tecnica originalissima che gli permette di effettuare grandi funambolismi pur rimanendo apparentemente immobile. Da qui il soprannome di «Slowhand» (mano lenta) appiccicatogli già in giovanissima età quando del suo talento si accorse uno dei padri del British Blues, John Mayall che lo volle all’interno dei suoi Bluesbreakers, «strappandolo» ad un’altra formazione emergente della scena londinese della prima metà degli anni Sessanta, gli Yardbirds prodotti dal «ticinese» Giorgio Gomelsky con i quali fu anche protagonista di un paio di storiche esibizioni nel nostro cantone: nel reparto giocattoli dell’Innovazione a Locarno e alla Taverna di Ascona.

I supergruppi

I Cream: Ginger Baker, Eric Clapton e Jack Bruce.
I Cream: Ginger Baker, Eric Clapton e Jack Bruce.
I Blind Faith (da sinistra Ric Grech, Ginger Baker, Steve Winwood e Eric Clapton)
I Blind Faith (da sinistra Ric Grech, Ginger Baker, Steve Winwood e Eric Clapton)
Derek & The Dominoes (Bobby Whitlock,  James Beck «Jim» Gordon,  Carl Radle e Eric Clapton)
Derek & The Dominoes (Bobby Whitlock, James Beck «Jim» Gordon, Carl Radle e Eric Clapton)

Ma il suo spirito ribelle («sin da bambino sono sempre stato un bad boy», ha più volte confessato) pur celato dietro una facciata calma e compassata, male si adattava al ruolo di «sideman», ancorché di lusso, nei Bluesbreakers, tanto da spingerlo a cercare nuove esperienze susseguitesi, per un quinquennio, a ritmi quasi frenetici: dapprima con i Cream (assieme a Ginger Baker e Jack Bruce), poi nei Blind Faith (con Steve Winwood), poi ancora oltre Oceano con i coniugi Delaney & Bonnie Bramlett e nella breve ma straordinaria esperienza di Derek & The Dominoes in cui fece la conoscenza con un altro gigante della chitarra, Duane Allman. In mezzo tante collaborazioni, da quelle con Frank Zappa alla solida amicizia con i Beatles (George Harrison in particolare) dei quali, soprattutto nel triennio conclusivo della loro avventura, è stato una sorta di quinto componente collaborando a molti loro progetti.

La droga

Eric Clapton e Duane Allman.
Eric Clapton e Duane Allman.

Quando però Eric Clapton sembrava destinato a diventare l’incontrastato e indiscusso numero uno del rock mondiale ecco la crisi. Che ha un nome: eroina. Una sostanza che in quel periodo girava abbastanza regolarmente nel mondo del rock e nel cui vortice l’artista precipitò subito dopo la tragica morte in un incidente motociclistico dell’amico Duane Allman facendolo quasi scomparire dalle scene. Dal 1971 al 1974 del fino ad allora attivissimo Slowhand si persero infatti quasi totalmente le tracce, fatta eccezione per l’apparizione al Concert for Bangladesh dell’amico Harrison e un’esibizione al Rainbow Theatre di Londra messa in piedi da un altro sodale, Pete Towshend degli Who (e poi divenuta un disco) proprio per farlo uscire dalla spirale autodistruttiva in cui si era cacciato.

La rinascita

La copertina di «461 Ocean Boulevard»
La copertina di «461 Ocean Boulevard»

Spirale dalla quale il chitarrista uscì poi quasi definitivamente nel 1974 con un album, 461 Ocean Boulevard (dall’indirizzo della casa di Miami dove nel frattempo si era trasferito) e un singolo scritto da un allora emergente artista giamaicano, Bob Marley, che originariamente incise un po’ controvoglia (pare che le ritmiche reggae non gli piacessero particolarmente) ma lo riportò ai vertici delle classifiche: I shot the Sheriff.

A quel punto Eric Clapton e la sua chitarra erano veramente tornati e da quel momento in poi la sua carriera è proseguita con regolarità e grande successo, rilanciata anche da un poderoso «live» nei primissimi anni Ottanta (Just One Night registrato in Giappone durante una fortunatissima tournée mondiale) e da una serie di dischi tutti realizzati secondo un collaudato schema, ossia un mix tra accattivanti blues-rock che strizzano un occhio al pop e eleganti ballate.

La definitiva consacrazione

Schema che nell’ultimo trentennio Clapton ha poi seguito con una certa regolarità, fatta eccezione per un paio di ritorni al primo grande amore – il blues acustico – qualche omaggio ad artisti che l’hanno particolarmente influenzato (su tutti Robert Johnson e JJ Cale a cui deve uno dei capisaldo del suo repertorio, Cocaine) e soprattutto quello straordinario Unplugged registrato nel 1992 negli studi di MTV con cui ha dato il via ad un filone che ha dominato l’industria discografica per qualche anno. Un cammino insomma trionfale accentuato da un’interminabile attività «live» e tante collaborazioni, discografiche e sulla scena, con illustri colleghi, che non ha fatto altro che accrescerne popolarità e prestigio.

Alti e bassi

Eric Clapton a Moon & Stars  nell’estate 2006.
Eric Clapton a Moon & Stars nell’estate 2006.

In questo trentennio felice non sono mancati però per lui altri momenti difficili: dalla scampata morte, per un soffio, nell’incidente d’elicottero in cui nel 1990 perse la vita l’amico Stevie Ray Vaughan, alla tragedia dell’anno successivo quando il figlioletto Conor di 4 anni, avuto dalla starlette italiana Lory Del Santo, inspiegabilmente precipitò dal 53. piano di un grattacielo di New York (dramma che lo portò a comporre una delle più belle canzoni del suo repertorio, la struggente Tears in Heaven) fino alla scoperta, qualche anno fa, di una neuropatia periferica a seguito della quale annunciò ufficialmente l’addio alle scene. Addio che a pochi mesi di distanza ha però ritirato: perché la vita di Slowhand è con una chitarra in mano e preferibilmente sul palco, con quel suo fare apparentemente schivo ma attento, pronto a cogliere qualsiasi novità (non c’è infatti evento davvero significativo nella storia del rock nell’ultimo mezzo secolo in cui non abbia messo direttamente o indirettamente lo zampino, pardon, la chitarra) che ne ha fatto se non il miglior chitarrista nel nostro tempo – le opinioni in questo senso possono giustamente divergere – una delle leggende della musica contemporanea.