Il caso

I biglietti dei concerti sono sempre più cari

Da Bruce Springsteen a Vasco Rossi, dai Coldplay a Ultimo, i prezzi 2023 sono schizzati in molti casi oltre i 100 franchi – Eppure, stiamo vivendo un’estate di stadi e palazzetti tutti esauriti
© KEYSTONE / ANTHONY ANEX
Stefano Olivari
15.07.2023 17:00

I biglietti per i concerti sono sempre più cari ed è difficile spiegare il perché, al netto di qualche luogo comune sulle leggi del mercato. Da Bruce Springsteen a Vasco Rossi, dai Coldplay a Ultimo, i prezzi 2023 sono schizzati in molti casi oltre i 100 franchi ma nonostante questo stiamo vivendo in tutta Europa un’estate di stadi e palazzetti tutti esauriti. Cosa sta succedendo?

Ticketmaster e Taylor Swift

Sta succedendo che nel mondo i biglietti dei concerti che fanno grandi numeri sono in mano a pochi grandi rivenditori, in particolare ad uno ben noto anche ai ticinesi come Ticketmaster. La musica dal vivo è un mondo per cui è impossibile avere statistiche precise, che mette insieme realtà troppo diverse: stadi, feste di piazza, palazzetti, concerti privati (quello a Dubai ha fruttato a Beyoncé 24 milioni di dollari). Ma non si va lontani dal vero dicendo che dopo la fusione con Live Nation avvenuta nel 2010 l’azienda americana controlla come minimo il 70% della musica dal vivo nel mondo. E al di là dei discorsi sul monopolio non è nemmeno un modello di efficienza: sul Corriere del Ticino abbiamo già parlato del caos per la vendita online dei biglietti per la parte statunitense dell’Eras Tour di Taylor Swift, poco fa la situazione si è ripetuta anche per i concerti francesi.

Il monopolio

Il paradosso è che questa inefficienza aumenta ancora di più il desiderio dei fan, disposti a pagare qualsiasi prezzo e al limite finire nel tunnel dei siti di secondary ticketing. Di certo il fatto che il più grosso organizzatore di concerti, Live Nation, e il più grosso venditore di biglietti, Ticketmaster, siano la stessa entità, porta a una situazione in cui al pubblico si prospetta uno scenario di grandi concerti quasi tutti costosi. Mentre scriviamo queste righe i biglietti per il concerto di Springsteen del 25 luglio all’Autodromo di Monza risultano non disponibili e in ogni caso costerebbero un minimo di 97,75 euro per posti dove il Boss lo si vedrebbe con il binocolo. Ma ci impressiona di più che fra i pochi posti disponibili per i Måneskin all’Olimpico di Roma i meno cari siano i 69 euro (più commissioni) per il prato… Basta comunque una visita al sito di Ticketmaster per intuire come abbiano in mano tutto ciò che fa la differenza: solo per citare i concerti della seconda metà di luglio 2023 Mengoni, Tiziano Ferro, OneRepublic, Muse, Negramaro, Harry Styles, Robbie Williams, tutti a prezzi springsteeniani. Poi ai critici Ticketmaster e i suoi pochi concorrenti (fra questi l’italiana TicketOne, che dal 2007 fa parte del gruppo tedesco Eventim) rispondono che i ComaCose in provincia di Brindisi si vedono con 30 euro, come se fossero loro a fare la differenza.

Gli artisti

La faccia è sempre quella dei cantanti e quindi è a loro che spesso viene chiesto conto del caro biglietti. Che non è una fissazione demagogica, del genere «Signoria mia, aumenta tutto», ma una realtà: nel 1985 per lo storico concerto di Springsteen a San Siro pagammo 20 mila lire, per l’epoca una grossa cifra. Ecco, attualizzata in base all’inflazione erano soldi che oggi come potere d’acquisto equivarrebbero a 29 euro: come è possibile che i prezzi si siano triplicati senza che gli artisti dicano qualcosa, loro che hanno sempre pronta qualche frase fatta sulle difficoltà dei giovani? La realtà è che dopo i due anni di stop da pandemia tanti artisti hanno voluto rifarsi sparando cifre molto più alte rispetto al 2019, ma la tendenza era già in atto da almeno un decennio: gli autori guadagnano nella media 0,07 euro da ogni ascolto in streaming, i conti sono presto fatti. Scrivere canzoni di successo conviene meno che cantare quelle degli altri su un palco, da qui un’enfasi sulla musica live del tutto impensabile negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, quando il concerto era un qualcosa in più rispetto al disco e non invece l’unica ragione di vita degli artisti. E chi prova ad interrompere questo circolo vizioso, come hanno fatto di recente i Cure proponendo biglietti a 20 dollari, viene preso in giro da commissioni mostruose, pari in questo caso quasi al prezzo del biglietto. I cosiddetti diritti di prevendita, poi, da commissione antipatica (qualche mese fa ne ha parlato addirittura Joe Biden, anche se forse il presidente USA su riferiva agli eventi sportivi) diventano un’assurdità quando organizzazione e ticketing fanno parte dello stesso gruppo. In generale comunque il luogo comune artisti buoni-organizzatori cattivi è infondato, visto che da un certo livello in su i cantanti vengono pagati prima, con garanzie blindate e gli organizzatori che devono andare al recupero in ogni modo.

Dynamic pricing

Va sempre ricordato che nessuno costringe i fan a comprare biglietti a prezzi altissimi, esiste un mercato che a colpi di tutto esaurito sta sottolineando l’ottimo momento della musica dal vivo, cioè l’unica che consenta di vivere di musica. E dove c’è tutto esaurito c’è bagarinaggio, che in termini soft si definisce secondary ticketing. Nella sostanza tramite programmi appositi o anche persone fisiche che vivono davanti al computer in pochi minuti vengono acquistati tutti i biglietti disponibili dei concerti, per farli comparire qualche istante dopo su siti tipo Viagogo e ricarichi altissimi. I bagarini vanno in pari anche non vendendo tutto, da tanto che sono alti i prezzi, così si assiste di frequente a concerti da tutto esaurito con tanti posti vuoti. Nel mirino finiscono quindi i rivenditori primari, che però almeno ufficialmente non hanno colpe, anche se in realtà quelli che usano il dynamic pricing sono peggio dei bagarini. Il dynamic pricing altro non è che un algoritmo, usatissimo dai siti di e-commerce e dalle compagnie aeree, che lega il prezzo dell’oggetto o del biglietto a quanto la gente è disposta a pagarli, valore determinato da tantissimi fattori (frequenza e orario delle ricerche, altri acquisti simili, età, ceto sociale, eccetera) e che ha un grande impatto su tanti aspetti delle nostre vite. Il dynamic pricing applicato ai concerti negli USA ha creato mostri, con biglietti di big arrivati a costare anche 20 volte più del valore nominale.

La gente

Nessun prezzo di un concerto sarebbe possibile da proporre se non esistesse chi al concerto vuole andarci. Nel mondo di oggi il fan anche tiepido è legato al mito dell’evento, e infatti ogni concerto viene venduto come evento. E niente crea l’evento come una sua presunta rarità: un po’ l’artista è furbo a far circolare l’idea, un po’ allo spettatore piace crederci. Quanti concerti ultimi o definitivi abbiamo visto? Da Elton John ai Pooh, è evidente che l’ultimo saluto al pubblico è quasi sempre il penultimo. La musica del vivo sembra più vera di quella in streaming, ma in realtà le assomiglia molto visto che anche i più grandi hanno paura nelle loro scalette di derogare dal greatest hits, dalla playlist che i loro fan creano su Spotify o Deezer. Per molti tutto questo non ha prezzo, al fascino dell'io c’ero e delle lucine fatte con gli smartphone non si resiste.