Cinema

Il 1960 tra Dolce Vita e Nouvelle Vague

Un’annata ricca di opere indimenticabili firmate Fellini, Godard, Hitchcock, Visconti - I VIDEO
Un momento de «La Dolce Vita» di Federico Fellini.
Antonio Mariotti
24.04.2020 06:00

Se il 1950 si può considerare un’annata di grande rilievo per la storia del cinema (cfr. CdT del 15.4), il 1960 non gli è certo da meno, anzi... Come vedremo in questo secondo articolo della serie, 60 anni fa si profilano in misura già matura autori come Federico Fellini o Stanley Kubrick che segneranno poi indelebilmente i decenni successivi. In Francia (con Jean-Luc Godard, François Truffaut, Eric Rohmer, Jacques Rivette e Alain Resnais) esplode la Nouvelle Vague, modo di produzione «leggero» che rifiuta i pesanti meccanismi dell’industria cinematografica. Una tendenza che nel decennio successivo si estenderà a molti Paesi del mondo intero, compresa la Svizzera. Ma iniziamo il nostro percorso, come sempre in ordine strettamente alfabetico.

Marco Ferreri è già graffiante

Prodotto in Spagna, El cochecito mostra già lo spirito grottesco, venato di surrealismo, che caratterizzerà tutta l’opera di Marco Ferreri, regista fuori dagli schemi. Nella storia dell’ottantenne Don Anselmo che pretende ed ottiene una carrozzella a motore per poter godere della compagnia dei suoi coetanei, tutti paralitici, emerge una parodia del neorealismo e un ritratto impietoso della Spagna franchista.

La Ekberg entra nella storia

Se c’è un film la cui influenza è andata ben oltre l’ambito cinematografico e la cui fama è viva ancora oggi anche tra chi non l’ha mai visto, questo è senza dubbio La Dolce Vita di Federico Fellini. In quasi tre ore, il regista romagnolo conduce lo spettatore in un percorso quasi sonnambolico nei meandri notturni della città – decadente e pacchiana - che l’ha adottato. Tra personaggi indimenticabili sempre in bilico tra realtà e fantasia. Dalla celebre scena del bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi alle avventure spericolate dei paparazzi, fino a un finale inquietante ma non privo di un filo di speranza.

La folle corsa di Godard

Opera prima di Jean-Luc Godard, Fino all’ultimo respiro è il film-manifesto della Nouvelle Vague. La breve storia d’amore tra il piccolo gangster caratteriale Jean-Paul Belmondo e la studentessa americana Jean Seberg è un concentrato di energia, di idealismo (pochissimi soldi e solo pochi giorni di riprese), di sfrontatezza ma anche di amore per il cinema poliziesco americano che Godard e Truffaut (autore del soggetto) riabiliteranno dalle pagine dei «Cahiers du Cinéma».

Risi, commedia all’italiana

Se il Neoralismo è ormai morto e sepolto, gli anni Sessanta saranno l’epoca d’oro della commedia all’italiana, capace di prendere spunto dalla realtà per stravolgerla, mettendone in evidenza contraddizioni ed ipocrisie. Tra i maestri di questo genere c’è sicuramente Dino Risi che nel 1960 firma Il mattatore, storia di un incorreggibile imbroglione interpretato da un maiuscolo Vittorio Gassman.

Hitchcock fa sempre paura

Come si può scordare la celebre scena della doccia che sconvolse tutte le convenzioni morali della Hollywood dell’epoca, facendo oltretutto morire la protagonista (Janet Leigh) dopo appena 40 minuti di film? O come immaginare Anthony Perkins nei panni di un personaggio diverso dallo psicopatico, sessuofobo e voyeur Norman Bates? Queste solo due delle caratteristiche di Psyco, il più grande successo di Alfred Hitchcock, fortemente voluto dal sessantenne regista britannico. Un film che ancora oggi continua a far paura. Cosa volete di più?

La fredda Milano di Rocco

È il capolavoro di Luchino Visconti, il film in cui il regista milanese racconta la sua città come un luogo ostile, addirittura spietato, nei confronti di chi vi giunge dal Meridione in cerca di lavoro e - se possibile - di un briciolo di felicità. Ispirandosi ai racconti di Giovanni Testori e potendo contare su un cast perfetto (Alain Delon, Renato Salvadori e Annie Girardot in testa), in Rocco e i suoi fratelli Visconti dà vita a un’epopea famigliare nel segno del grande melodramma dentro la quale si legge perfettamente un passaggio epocale: quello dalla civiltà contadina a quella urbana e industriale, che sta interessando tutta l’Italia ormai pronta per il «boom».

Kubrick si getta nell’arena

Non doveva essere lui il regista del primo tentativo di «kolossal rivoluzionario» scritto dallo sceneggiatore «rosso» Dalton Trumbo e voluto a tutti i costi dal produttore e protagonista Kirk Douglas. Ma dopo che i continui litigi tra Douglas e Anthony Mann hanno segnato una rottura definitiva tra i due, l’attore richiama il regista di Orizzonti di gloria (1957) per girare Spartacus, storia romanzata del celebre gladiatore schiavo ribelle nell’antica Roma. Non sarà il capolavoro di Stanley Kubrick ma è il film che ne conferma tutte le capacità nel mettersi alla guida di un’enorme macchina produttiva che non solo sa dominare ma che riesce anche, ogni tanto, a far sterzate dai sentieri più battuti.