Il collezionista che portò il Giappone in Ticino

Una casa affacciata sul Ceresio, la luce che entra dalle grandi finestre illumina il mobilio in stile giapponese. Il collezionista Jeffrey Montgomery, di origini inglesi e norvegesi ma svizzero di adozione, si gode la vista dalla finestra e ammette di non stufarsi mai di ciò che vede. Una carriera e una collezione di manufatti Mingei (arte artigianale) a cui ha dedicato tutta la sua vita e che lo ha portato alla sua trentatreesima mostra, ora al Museo Vela di Ligornetto.
Quando ha iniziato il suo lavoro come collezionista?
«Ho sempre avuto un interesse nei confronti dell’Oriente, grazie anche a entrambe le mie nonne. La nonna materna aveva una piccola collezione di articoli da tè cinesi settecenteschi, mentre la nonna paterna possedeva poche porcellane di Nabeshima. Ma non è corretto dire che collezionavo: ho iniziato a viaggiare circa a tredici anni e con pochi soldi compravo delle cosette che non potevo nemmeno regalare perché erano terribili (ride). Poi verso i vent’anni ho iniziato a notare questi manufatti artigianali, oggetti fatti a mano di cento o mille anni. La cosa che più mi intrigava era infatti il loro uso nel corso dei secoli e la loro sopravvivenza fino ad oggi».
La sua collezione comprende tessuti, statue ma soprattutto ceramiche. Quando si è approcciato a queste ultime?
«Ho iniziato a interessarmi alle ceramiche tre o quattro anni dopo aver iniziato a comprare questi oggetti e ora, forse, sono diventate la parte più importante della collezione. Non bisogna dimenticare che in Giappone la ceramica è vista come in Occidente vedono la pittura ad olio. Solo che ha un percorso più interessante, perché una ceramica passa nelle mani di molte persone: chi fa la ceramica, chi la pittura, chi la mette nel forno, chi la tira fuori. Alcuni pezzi possono spaccarsi con la cottura mentre altri la superano e sono bellissimi».
Qual è stata la sua prima mostra e che effetto le ha fatto mostrare a tutti il frutto del suo lavoro?
«La prima mostra è stata alla Galleria Gottardo di Lugano nel 1989, ma non mi ero mai considerato un collezionista. Ricordo di essere sceso e di aver visto i primi pezzi che venivano messi nelle teche e di aver detto tra me e me: “il nome del gioco è cambiato”. La fortuna volle che passarono di lì alcuni direttori di musei e da quel momento iniziarono le esposizioni».
Sembra però che lei abbia un approccio inusuale al collezionismo e agli oggetti raccolti negli anni.
«Innanzitutto, mi interessavo di manufatti che gli altri non guardavano, quindi quello che trovavo io nessuno lo voleva. Rispetto ad altri collezionisti io ho un altro spirito: noi non possediamo niente. Se una persona ha la fortuna di poter fare un acquisto e tenere un oggetto artistico durante la sua vita è una cosa bella, ma prima o poi tutto finisce. Alcuni collezionisti parlavano dei loro pezzi come fossero bambini, di cui dovevano sapere ogni minimo spostamento, mentre io ho sempre sentito un desiderio di condivisione con gli altri. Ad esempio, le mie prime tre mostre erano anonime: non mi interessava vedere il mio nome sotto i manufatti, ma ero concentrato sul mostrare quello che avevo raccolto e la storia che questi oggetti raccontavano. Tutto quello che sono riuscito a mettere insieme racconta una storia e a me piace coinvolgere le altre persone. Non volevo essere collezionista ma lo sono diventato senza rendermene conto, ma mi ha fatto piacere poter condividere con altri il mio lavoro».
Parliamo del Museo Vela di Ligornetto. Quanto è importante per lei questa mostra?
«Prima di tutto sono Luganese di adozione e adoro vivere qui. Quando la direttrice Gianna A. Mina, una donna di grande cultura e con un gusto stupendo, mi ha fatto questa proposta ho accettato subito. Il Museo Vela è accogliente e si trova all’interno di un paesaggio molto bello. Ho la fortuna di avere una mostra a casa e di aver potuto seguire il percorso fin dall’inizio».
All’interno della mostra spicca una grande cura del dettaglio, dai diversi colori ai temi che cambiano. Mentre l’allestimento ha visto diverse collaborazioni.
«Di questo aspetto si è occupata da direttrice Mina: ha fatto un ottimo lavoro riuscendo a creare un percorso in cui le sale cambiano oggetti, colori e temi. Inoltre, ha fatto parte di questo progetto anche Rossella Menegazzo, la più importante curatrice in Italia di arte giapponese. Il loro lavoro ha creato qualcosa che io non ho mai avuto e mi meraviglio ancora oggi quando vado a vedere la mostra».
Come descriverebbe la mostra «Giappone. L’arte nel quotidiano» a chi ancora non l’ha vista?
«È molto difficile. Posso dire solo che sarà una bella sorpresa! Aggiungo una cosa: questi oggetti non sono stati messi dietro ad un vetro per la loro bellezza o la loro fragilità, ma perché sono stati usati dalle persone e sono sopravvissuti negli anni. Possono avere cento anni oppure tremila, ma sono rimasti intatti e possiedono un’energia che non si può negare».
La sua collezione è la più importante al di fuori del Giappone. È una cosa straordinaria!
«È quello che mi dicono tutti (ride). Ho dato molto a questa collezione: sono tanti anni che lavoro e faccio questo... È stato un bellissimo viaggio e sono un uomo proprio fortunato».
Un viaggio che non è ancora finito...
«Non è finito. Ho un approccio particolare alla vita: vedo quello che succede attorno a me, sono curioso e voglio sapere dove tutto questo mi porterà! La più bella esposizione, però, io l’ho avuta ora: in un piccolo museo con piccole stanze, trattando con persone di grande cultura e con un pubblico che sta apprezzando il mio lavoro».
L’ESPOSIZIONE: «Giappone. L’arte nel quotidiano»
La mostra, allestita presso il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto fino all’8 marzo 2020, presenta al pubblico una selezione di manufatti di arte Mingei appartenente alla collezione privata dello svizzero Jeffrey Montgomery, definita ad oggi «la più importante (collezione) del suo genere al di fuori del Giappone». I manufatti, che risalgono a differenti periodi storici e a diverse località geografiche del Paese del Sol Levante, appartengono tutti a una longeva tradizione popolare di artigianato, battezzato con il nome di Mingei da un gruppo di intellettuali giapponesi negli anni Venti del Novecento. Tazze, teiere, statue e kimono: i manufatti esposti al museo mettono in mostra il valore dell’artigianato tradizionale e la storia di ogni singolo oggetto, mostrando al pubblico ticinese un incontro tra la storia artistica nipponica e la tradizione ticinese, rappresentata dalle sale del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto.