Cultura

Il Guido Gozzano gazzettiere

Quando gli uomini d'affare cercavano i titoli di borsa sui giornali ma ci trovavano poesie – L'intervista alla professoressa Mariarosa Masoero, che cura il centro di studi «Guido Gozzano - Cesare Pavese»
© Wikipedia
Giorgia Cimma Sommaruga
25.06.2023 16:47

Non amo che le rose che non colsi»… diceva Guido Gozzano in Cocotte, uno dei suoi testi più celebri, contenuto nella raccolta di poesie I colloqui. Una poesia, quella di Gozzano, demistificata, che si allontana dai modelli aulici alla D’Annunzio, per dare vita a una lirica più moderna. Non è un caso che uno dei versi più celebri del poeta torinese parla delle rose non colte, che simboleggiano le occasioni perdute, le cose che potevano essere e non sono state. Se tanto si è parlato della poetica gozzaniana, meno si è scritto delle sue opere in prosa. Tuttavia, a colmare il cono d’ombra editoriale si è impegnato recentemente Marco Maggi, professore straordinario di Letterature comparate e teoria della letteratura e direttore del Master in Lingua, letteratura e civiltà italiana dell’USI, pubblicando una raccolta di prose di Guido Gozzano dal titolo Anacronismi e didascalie.

Un grande innovatore

Maggi riflette su come Gozzano abbia usato la prosa come laboratorio per la sua poesia e come abbia sperimentato con l’autofiction. Un meccanismo di autorappresentazione sperimentato in tempi non sospetti, agli inizi del 1900, poi coniato come vero e proprio neologismo nel 1977 dallo scrittore francese Serge Doubrovsky per definire il suo romanzo Fils. Un genere letterario che fonde elementi tipici dell’autobiografia alle tecniche narrative che caratterizzano la fiction. Ma le innovazioni non si fermano qui. Gozzano, nei suoi testi in prosa, ha riflettuto sulla fotografia e sul cinema dimostrando, osserva Marco Maggi «una capacità impressionante di comprendere le dinamiche dell’industria culturale del suo tempo e prevederne la sua evoluzione». 

Ironicamente satirico

«Il lavoro che ho fatto - spiega il professore -, è stato quello in primo luogo di circoscrivere questo corpus, con il quale finalmente abbiamo tutto Guido Gozzano in prosa, in edizioni controllate. Non è un’edizione critica, ma è un’edizione sulle prime sedi di pubblicazione»: quotidiani, giornali, riviste e affini. «È stato avvincente reperire queste ventisei pubblicazioni, perché erano tutti articoli usciti su riviste quindicinali, mensili o addirittura quotidiani», racconta Marco Maggi. In particolare Gozzano collaborava con «La Stampa» di Torino, col «Momento» di Torino, ma anche con riviste come «La Lettura», «Corriere della Sera». Ed è proprio analizzando le antiche pagine in carta stampata che si coglie l’evoluzione, o l’involuzione, dei giornali: «Lavorando su queste sedi di pubblicazione si coglie come le firme più prestigiose scrivessero sui quotidiani: tutti gli intellettuali più celebri erano giornalisti», osserva Maggi, che precisa: «Gozzano stesso riflette anche su questo aspetto in modo molto ironico: la presenza della letteratura sui giornali». E infatti, sfogliando il testo di Maggi, arriviamo ad un articolo gozzaniano in cui l’intellettuale si lamenta del fatto che negli anni precedenti la letteratura avesse invaso i quotidiani. Dice: «Forse tra i tanti mali, la guerra (storicamente siamo all’alba della Prima guerra mondiale) può portare un piccolo beneficio, che è quello di ridurre questa marea di letteratura nei quotidiani, che talvolta finisce anche per indispettire». E nello stesso testo «abbozza una scenetta in cui c’è l’uomo d’affari che cerca affannosamente i listini di borsa sul giornale, non li trova e continua a trovare letteratura», racconta Maggi.

Un giornalista letterato

Ed è proprio scrivendo per giornali e riviste, che Guido Gozzano affina il suo stile di scrittura caratterizzato da una forte attenzione ai dettagli e dalla sua capacità di trovare bellezza e significato nella vita quotidiana. Era noto per il suo tono ironico e talvolta pungente, così come per il suo uso dell’umorismo e della satira. Nelle sue opere in prosa, sperimentava nuove idee e temi, spesso utilizzando le proprie esperienze come punto di partenza per le sue riflessioni. «Come giornalista, scrisse su una vasta gamma di argomenti, tra cui attualità, storia, moda e cinema. Le sue riflessioni sul ruolo del giornalismo e sull’impatto delle nuove tecnologie come il cinema e la fotografia sono ancora attuali», riflette Marco Maggi. Ed è di attualità che parla Gozzano quando riflette sulla memorialistica bellica durante il periodo della Prima guerra mondiale. In uno dei suoi articoli, «Gozzano prevede che ci sarà un’invasione di memorialistica bellica che per un po’ intaserà le tipografie - spiega Maggi -. Solo dopo si riuscirà a ripubblicare qualcosa che non abbia a che fare con la guerra». Questa previsione si è puntualmente verificata sia dopo la Prima che dopo la Seconda guerra mondiale.

Non chiamatelo (solo) crepuscolare

La poesia di Gozzano è spesso descritta come «crepuscolare», un termine usato per descrivere un gruppo di poeti italiani attivi all’inizio del XX secolo. Questi erano noti per la loro attenzione alla vita quotidiana e per l’uso di un linguaggio semplice e diretto. Tuttavia sarebbe riduttivo chiamare Gozzano crepuscolare vista la sua grande sperimentazione. 

Secondo Marco Maggi il poeta torinese «ha anche scritto di storia e ha creato rievocazioni storiche con un gusto per l’anacronismo e lo scarto e, soprattutto, ha sperimentato con l’autofiction e ha creato personaggi che mostravano i suoi difetti e le sue irritazioni». Una sorta di messa in scena, ironica, di sé stesso visto che «diventa lui stesso un personaggio all’interno delle sue storie». Questo gli ha permesso di esplorare la costruzione di una voce narrativa diversa e di mostrare una visione più completa di sé stesso.

«Il Gozzano gazzettiere aiuta noi oggi a riconoscere l’atmosfera storica e culturale del periodo in cui ha scritto»
Mariarosa Masoero, Direttrice centro studi Guido Gozzano e Cesare Pavese

Il centro di studi «Guido Gozzano - Cesare Pavese», è nato nel 1967 per volontà e interessamento di Giovanni Getto. Attualmente è diretto da Mariarosa Masoero già professoressa ordinaria di Letteratura italiana all’Università di Torino. 

Perché gli articoli del Gozzano «gazzettiere» sono importanti?
«L’attività giornalistica di Gozzano, varia per tematiche, spessore e risultati, aiuta a ricostruire l’atmosfera del periodo culturale italiano di inizio Novecento e getta ulteriore luce sulle sue letture e sul suo breve ma intenso percorso biografico. Sono documenti letterari e storici per lo più di prim’ordine e finora lasciati abbastanza in ombra».

L’autore non amava definirsi tale però. 
«L’amico Emilio Zanzi ricorda che Gozzano inizialmente si era schermito alla proposta di collaborare al “Momento”: “Non so fare il giornalista. Non ho facilità di scrittura.[…] Sono lento, tormentato sempre dai dubbi. Faccio e rifaccio anche una lettera privata tre, quattro volte. Anche una cartolina!”».  

Tra le carte dell’autore si conservano due tessere, rispettivamente da «corrispondente» e da «corrispondente - viaggiante», rilasciate da «il Momento», quotidiano cattolico di Torino, e da «Il Resto del Carlino», giornale di Bologna. Dove andò?
«In India. Tuttavia dall’Oriente ebbe dei ripensamenti. «Ai giornali […] avevo promesso corrispondenze di tutti i generi - per avere le tessere - e non ho mandato una sola parola. Ma già non scriverò su giornali mai più (dovessi morire di fame) e non so per quale aberrazione mi sia deciso l’anno scorso a collaborare al ‘Momento’. È una vergogna che pesa sulla mia coscienza letteraria e che non mi perdonerò mai» (lettera alla sorella Erina, 3 aprile 1912)» . 

Un aneddoto interessante rispetto a questo autore?
«Curiosa e a suo modo divertente è una lettera dall’India «estravagante» intitolata Un voto alla dea Tharata-Ku-Wha apparsa il 30 gennaio 1914 sul quotidiano torinese «La Stampa». Il protagonista, in viaggio nell’Industan, perde i suoi bagagli; gli viene suggerito di fare un voto alla Dea del nemico, ovvero la morte. Nel tempio scrive su una foglia di palma i nomi di nemici a partire da quello di Tito Vinadio e la getta nel fuoco, sempre scherzando e ridendo con un amico. Ritrova miracolosamente i bagagli e giunto in Italia scopre che sono morti due dei 3 personaggi affidati alla Dea. Passano i mesi e un giorno a Venezia incontra un vecchietto, malato, sorretto da un amico pittore. È Tito Vinadio, da sempre suo denigratore».