Il monologo di Rula Jebreal commuove l’Ariston

È stato il momento più duro e commovente della prima puntata del Festival di Sanremo. Sul palco, la giornalista e attivista palestinese Rula Jebreal, si è presentata con due libri, uno bianco e uno nero. Sul primo, le parole della speranza, con i testi di alcune canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana, come La Cura di Battiato, La donna cannone di De Gregori, fino a Sally di Vasco Rossi. Sul secondo, gli orrori della violenza sulle donne.
Il monologo ha preso il via dalle domande più frequenti rivolte alle donne vittime di violenza nelle aule di tribunale: «Aveva la biancheria intima quella sera?», «Trova sexy gli uomini con i jeans?». L’obiettivo era denunciare «una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, o perché siamo troppo belle o troppo brutte, insomma ce la siamo voluta», ha spiegato Jebreal.
Per poi raccontare qualcosa del suo passato: «Sono cresciuta in un orfanotrofio, ci raccontavano delle nostre madri spesso stuprate, torturate e uccise». «Mia madre ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni, si è suicidata dandosi fuoco, perché il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi. Era stata brutalizzata e stuprata due volte: una prima volta da un uomo a tredici anni, la seconda da un sistema che non le ha permesso di denunciare», ha spiegato commossa.
Infine, si è rivolta agli uomini: «Lasciateci essere quello che vogliamo essere: madri di dieci figli o di nessuno. E indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede: ‘lei cosa ha fatto per meritare quello che ha vissuto?’».